Numero 20 | Maggio 1999

29 marzo 1999, lunedì. È l’alba e sto andando a Torino, poi a Milano a conoscere Joe. Sono in treno. Fa freddo. Fuori la luce del nuovo giorno filtra attraverso una nebbia sfilacciata come bava di un gigantesco insetto.

Circa un lustro dopo (tale almeno mi è parso il tempo trascorso da quando ho spento la sveglia stamattina), sono alla stazione centrale a Milano. L’appuntamento è al capolinea della metro di Cologno nord, fra un’ora. Arrivo all’appuntamento con un ritardo siderale.

Dopo pranzo ci si rilassa un po’ sul divano, ed è da lì che Joe comincia a raccontarmi la storia del gruppo.

È un ‘progetto’, in realtà. Noi ci conoscevamo da prima, ma è stato per impulso della casa discografica che sono nati i La Crus.

A registratore ancora spento, tra una telefonata e l’altra, racconta di questa loro comune fascinazione per quella che definisce la (forma)canzone:

sì, sono convinto che c’è un punto esatto… indica questo punto immaginario come se stesse sospeso nell’aria in mezzo a noi, il punto preciso… in cui si trova la Canzone. E noi vogliamo afferrarlo… Cerchiamo di…

Posso farti una domanda da parte di mio fratello? Credo che abbia colto nel segno. Ha 22 anni e ti chiede (sfodero un biglietto della spesa, con scritto sul retro): «Non credi che la strada che avete intrapreso sia, come dire, a senso unico, cioè non ti infastidisce che i La Crus possano essere identificati come dei malinconici romantici, e basta?»

Rumori di sottofondo. Distribuisce il tabacco e ci pensa un po’ su: No. Uno, non mi stupisce… E non mi infastidisce, perché in realtà un poco lo siamo. E siccome sono convinto che devi cantare quello che sei… Si volta e mi guarda Potremmo anche stupirti, però! (ride)

I fantomatici germi di questa svolta romantica del resto erano in realtà presenti già nei primi due dischi.

Il primo era molto più sperimentale, però, se ci fai caso, proprio a marcare i nostri inizi di percorso abbiamo scelto una canzone come Angela. Una canzone con un testo bellissimo, che parla d’amore in una maniera anche ‘pesa’ se vuoi, ma lucida.

La voce s’è abbassata. Angela è di Tenco. E per quanto riguarda i pezzi vostri?

Sì, l’idea era quella di far convivere il nostro background musicale e culturale con la tradizione cantautorale italiana, e insieme ad Angela abbiamo scelto di fare Il Vino di Ciampi: due brani che davano un’idea precisa di dove volevamo andare a parare. Delineavano i confini di un determinato mondo. Il modello di Tenco, per dire, poi non è lontano da un personaggio come Nick Cave, con trent’anni di differenza. La scelta di Angela è stato un inizio, l’inizio di una ricerca.

Una ricerca costantemente eseguita in tre: lui, Joe, insieme a Cesare Malfatti e ad Alessandro Cremonesi.

In studio stiamo io e Cesare. Magari Alex arriva con un provino…, mettiamo giù la parte musicale, con un’idea di linea melodica e cominciamo a spingere in una data direzione: è sufficiente che uno di noi in un dato momento abbia una predisposizione verso una data atmosfera: la assecondiamo naturalmente. Poi partono i testi, può esserci una frase, un’idea, un tema: cambia l’approccio, ma non il procedimento. I testi li facciamo io e Alex.

Il processo di ‘crescita’ che ha portato i La Crus fin qui, è un processo complesso, che ha lasciato (solo momentaneamente magari) per strada certi vezzi forse un po’ intellettualistici (la sperimentazione musicale invece continua), per sterzare con prepotenza in questa direzione:

altri autori, specie di lingua inglese, grandi personaggi, hanno sempre fatto canzoni d’amore, vedi Leonard Cohen e lo stesso Nick Cave. Perché non farlo anche noi?

Rispetto a quattro anni fa, ovvero alla nascita del ‘progetto’, siamo di fronte a un gruppo più maturo e coraggioso, forse. Ma come è possibile, riuscire a crescere allo stesso modo, insomma, ritrovarsi dopo anni a scrivere ancora insieme, a essere sempre sulle stessa lunghezza d’onda, anche dopo bruschi cambiamenti di rotta?

E infatti è una cosa stranissima, io stesso non riesco a capire… riuscire a lavorare insieme dopo così tanto tempo. Bisogna partire da questo presupposto: scriviamo insieme. lo poi le canzoni le devo cantare (soffia fuori il fumo) e quindi la stesura definitiva la do io.

Quando avevo incontrato un amico comune, qualche tempo prima (avevo da poco sentito Dietro la curva del cuore), gli avevo chiesto se Joe era sposato, fidanzato, o qualcosa del genere… semplice curiosità femminile credo… Era per sapere se, al solito, era tutta teoria (ascoltatevi il disco, se non lo avete già fatto, per capire cosa intendo), o c’era un discorso di pratica sentimentale alle spalle… Glielo dico. Soffia di nuovo fuori il fumo, poi sorride e fa:

è una tecnica mista.

Un po’ come nei libri; dal momento che mette sulla carta una storia, anche se vera, c’è una componente di…

Romanzo, già. Adotto una tecnica mista di momenti realmente vissuti e d’invenzione.

In altri la cosa è più evidente, perché certi autori, quando parlano di donne, danno loro un nome: nelle canzoni dei La Crus no. E la cosa è voluta. Assolutamente, dice.

Un’altra domanda di Lorenzo: da Don Juan De Marco (il film con Johnny Deep e Marlon Brando), «Tre sono le domande che contano nella vita. Che cosa è sacro, per che cosa vale la pena vivere e per che cosa vale la pena morire, la risposta a tutte è l’amore. Però l’amore può anche esserci per un buon libro, un bicchiere di vino, una poesia di De André, un paese. Non credi che sia un po’ riduttivo limitarlo a quello di un uomo per una donna?»

Vero, l’amore è verso le cose, è l’attitudine con cui fai le cose, secondo me è un misurarsi con la vita.

E il loro disco, quest’ultimo, sembra arrivato proprio al momento giusto, proprio quando tutti (e infatti piace ai miei, al mio fratellino, a mia zia farmacista), ne avevano più bisogno: ti schiaffa impudicamente sul faccione tutti quei sentimenti che, nella vita di ogni giorno, non ti senti di dire, eppure non aspetteresti altro.

Sono convinto che è l’ultima cosa vera rimasta, l’unico valore rimasto, perché secondo me c’è stata anche un po’ la sconfitta del sociale…

E sembrerebbe che certe cose, ci sia un solo modo per dirle, sintetizzato in Diritto a te: «senza usare frasi troppo complicate», quasi una dichiarazione di poetica.

È un po’ la base di tutto questo disco, cercare di arrivare diritto nel cuore delle cose, senza fronzoli. È l’idea di cantare proprio col cuore in mano. Ci pensavo un giorno, magari qualche anno fa alcuni pezzi di questo disco, non so, non sarei riuscito a cantarli. Invece adesso sono più consapevole di determinate cose, ho anche maggiore sicurezza con la lingua, col ‘come dire’ determinate cose e anche col ‘perché no?’, perché non dire mia piccola stella stringimi a te… È una sfida che mi ha intrigato moltissimo. La paura era quanto la gente riuscisse a capire questa cosa, ma perché non accettare un sfida così?, cercando di essere più credibile possibile. Cercando i giusti equilibri, è tutta una questione di equilibri.

Ascoltate tutto il disco, dall’inizio alla fine, la prima volta, dà una sorta di piacevole spossamento. Poi però ti rendi conto che è anche molto amaro. «Lei se ne va, lei se n’è andata, qualcosa è finito o comunque è passato, la pioggia batte sul mio cuore». Non c’è il lieto fine.

Non c’è perché non lo scrivo. Sorride.

E chi li consce, musicalmente parlando, cosa dice di questa ultima fatica dei La Crus?

A Manuel [Agnelli, Afterhours, n.d.i.] è piaciuto un casino, secondo lui è il disco più bello che abbiamo fatto. Il suo pezzo preferito è È andata via l’estate, a suo parere doveva chiudere il disco.

E invece l’ultima traccia di Dietro la curva… è un pezzo strumentale, con un sacco di archi, un po’ distante dal resto del disco, sul quale si dovrebbero leggere i versi di Claudio Galuzzi riportati nel libretto,

un carissimo amico. Aveva già collaborato con noi, ai tempi del primo disco, in Nera Signora e Lontano. «Dietro la curva del cuore» è una frase che sta proprio in Lontano, è una frase di Claudio. In realtà il titolo più giusto di questo disco doveva essere Diritto a te, solo che suonava male, proprio foneticamente, dopo Dentro me… E forse mi piaceva più concettualmente che altro.

Poi parliamo di Natale a Milano, di cui non ricordo mai il titolo, forse perché non c’è nessun riferimento esplicito al Natale.

È di questo nostro amico che si chiama Dany Greggio, che è un ragazzo veneziano che scrive delle canzoni molto belle. Io l’ho sentita e avevo troppa voglia di cantare un pezzo così. Fatto sta che lo abbiamo inserito, anche se non volevamo più mettere cose non nostre, dopo i primi due dischi con due cover ciascuno. La cosa più strana è che alla fine è il pezzo che suona più La Crus di tutti, ed è l’unico che non abbiamo scritto noi. È allucinante questa cosa.

Intervista di Barbara Basso

 

I La Crus sono:

Mauro Ermanno Giovanardi, voce

Cesare Malfatti, chitarra

Alessandro Cremonesi, terza entità nascosta, ma sempre presente

Discografia aggiornata dei La Crus

1995 – La Crus
1996 – Remix (EP)
1997 – Dentro me
1999 – Dietro la curva del cuore
2001 – Crocevia
2003 – Ogni cosa che vedo
2005 – Infinite possibilità
2008 – Io non credevo che questa sera (live)