Ex-Libris-0-6-12

Anno 0 | Numero 6 | Marzo 1997

Il primo contatto tra fantascienza e teatro avviene nel 1921, anno in cui Karel Čapek, celebre scrittore e commediografo cecoslovacco, scrisse il suo famoso R.U.R. (Rossum Universal Robots), un dramma destinato ad essere un passaggio fondamentale per la fantascienza e significativo per l’immaginario collettivo di questo secolo. In R.U.R. si inseriscono per la prima volta tematiche straordinarie. Linguisticamente c’è l’introduzione del termine “robot” («robot» deriva dal ceco «roboti» o «robota», che significa «lavoro» o «lavoratore») termine divenuto ormai d’uso quotidiano. Altro grosso fattore anticipativo presente in quest’opera è la produzione di esseri artificiali in serie. Čapek parte dalla scoperta di un sistema chimico per la produzione di massa di esseri artificiali, e viene avviata la produzione in serie di questi “robot’’ per utilizzarli come forza lavoro a basso costo da rivendere ai gruppi produttivi. Nel contesto storico in cui è nata l’opera una simile opera pare spianare la strada dell’utopia, sennonché da uno degli scienziati coinvolti nell’operazione viene inserito un fattore mutante nel sistema di produzione che finisce per dar vita ad esseri artificiali sensibili alle emozioni, che imparano il desiderio di libertà e di dominio, esseri che poco alla volta acquistano sembianze umane.

Negli anni ’20 si inizia a presentare artisticamente il problema dell’uomo schiacciato dalla macchina e meccanizzato egli stesso, (che è il tema di base di R.U.R.) è questa l’epoca in cui findustrializzazi.one incomincia a presentare il suo lato malvagio e distruttore, spersonalizzante.

La discussione intellettuale su queste tematiche prende anche la via fantascientifica e decide di esprimersi proprio attraverso il teatro con un’opera del futurista messinese Ruggero Vasari, L’angoscia delle macchine, che supera taluni limiti rappresentativi del dramma di Čapek. Il dramma si stacca dal futurismo per la tematica: non c’è, infatti, la visione misticamente positiva della macchina propria dei futuristi, ed anzi, la macchina genera angoscia e disumanizzazione. La società descritta nel dramma è quella di un pianeta meccanizzato dal quale gli uomini hanno bandito le donne, considerate un intralcio all’uomo nel suo bisogno di conquista dell’universo (leit-motiv del futurismo). Il triumvirato che regge il pianeta trasmette il suo pensiero ed impone la sua volontà agli uomini meccanizzati attraverso una Macchina- cervello. Il dramma si apre con il ritorno di una donna, Lipa, la cui presenza basta a distruggere questo mondo che ha cercato di escludere la femminilità e l’umanità e a risvegliare la coscienza dello scienziato che ha costruito il mondo e su cui tutto si regge. Alla morte dello scienziato la Macchina-cervello impazzisce e si ferma, uccidendo tutti gli uomini macchina. L’angoscia delle macchine venne rappresentata per la prima volta a Parigi nel 1927 con buon successo di pubblico. Gli attori recitavano dietro lo schermo di una silhouette in cartone e stagnola con alcune parti che potevano essere mosse solo sul piano frontale. Tutto nella rappresentazione fu attuato per cercare di rendere il senso di assoluta disumanizzazione del lavoro, in particolare proprio in una messinscena di R.U.R. Vasari aveva criticato i robot che si muovevano e si comportavano come esseri umani. Così si cercò di attenuare l’eccessivo lirismo del testo contagli e ripetizioni di parole, o si introdussero pause innaturali nella recitazione. Oltretutto, la recitazione di ogni personaggio era affiancata da effetti rumoristici suoi propri. Solo Lipa, la femminilità e la vita, non recitava dietro uno schermo e conservava il ritmo umano.

Ma la SF in teatro oggi? Che è successo negli ultimi anni, e, soprattutto, oggi che c’è in giro?

La risposta sincera è che non lo so… in verità ultimamente non s’è fatto molto in questo campo, e io ne so ancora meno. La sperimentazione teatrale ha preso altre strade, e ha toccato la SF solo inconsapevolmente. Sorte, questa, toccata tipicamente a Bukowski, grande scrittore, del quale non si accettava che scrivesse SF (Svastica è stato escluso dall’antologia Storie di ordinaria follia proprio perché fantascientifico).

L’ultima cosa di cui abbia notizia è Checkpoint Papa di Maurizio Donadoni spettacolo che si teneva l’anno scorso al Teatro Litta di Milano. Storia post-atomica di un uomo che incontra la sua futura moglie e se stesso dopo una trentina d’anni, mentre, fuori dall’appartamento in cui si svolge la vicenda, si odono gli spari e le urla della guerra civile che affligge Milano. Ma il pezzo migliore di questi anni credo che sia da imputare a Macario (Mauro Macario, figlio del comico), il quale nel 1978 è riuscito a fare teatro seriamente ricercando la fantascienza come punto di partenza delle sue idee. Lo spettacolo si componeva di tre atti unici, uno di Peter Kolosimo, uno dello stesso Macario e uno di Lino Aldani, il più grande autore che la SF italiana possa vantare. L’opera di Aldani messa in scena era l’ottimo Buonanotte Sofia recentemente tradotto in un’antologia su Urania, opera che parla di sesso, alienazione e solitudine.

Emiliano Farinella

In libreria

rur.jpgKarel Čapek
R.U.R. Rossum’s Universal Robots
Marsilio, 2015 (Letteratura universale. Gli Anemoni)
A cura di A. Catalano
169 p., brossura
€ 15,00

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