Trascorso un anno dall’uscita del terzo romanzo di Giulia Caminito, L’acqua del lago non è mai dolce, edito da Bompiani, il libro è ancora nelle vette delle classifiche di acquisto e lettura. Un 2021 costellato di successi: dapprima la vittoria del premio Strega Off e poi il prestigioso Premio Campiello e le numerose traduzioni del romanzo, addirittura in Cina.

Il  motivo di questa eco forte e ammaliatrice risiede certamente nei temi trattati nel romanzo: l’adolescenza, il rancore verso le proprie radici, il complesso primo decennio degli anni duemila basato sulle differenze di classe, la soddisfazione nel possesso di cose futili, il bagliore del futuro incerto, non garantito. Non siamo di fronte ad un romanzo di formazione, ma piuttosto del racconto di una parabola della vita di Gaia, la protagonista, comune a quella di un’intera generazione.

L’acqua del lago non è mai dolce racconta la storia di Gaia, da quando era bambina sino alla giovinezza. La sua famiglia si regge sulle spalle della madre Antonia, che deve prendersi cura di tutto, avendo un marito disabile che non può lavorare e che ha un atteggiamento ingombrante nei confronti dei suoi quattro figli. Gaia si iscrive in un liceo frequentato da ragazzi che hanno una posizione sociale molto diversa dalla sua. Sente fortemente la frustrazione della situazione famigliare e delle aspettative della madre. Ha spesso la tentazione di scaricare la sua rabbia: è una protagonista sensibile e furibonda.

Il romanzo è ambientato ad Anguillara, uno dei tre comuni che si affaccia sul lago di Bracciano. La provincia e più in generale la periferia, è divenuta un’ambientazione molto scelta dalla narrativa contemporanea. La provincia sembra essere attraversata da spinte sempre più nette tra localismi e globalizzazioni. La tua scelta è stata dettata da questo aspetto? e da che altro?

Ho scelto Anguillara perché è il luogo in cui sono cresciuta e mi serviva un’ambientazione molto nota per questa mia prova in prima persona. In più Anguillara essendo a pochi chilometri dall’inizio del Comune di Roma ha in sé una doppia natura sia periferica che provinciale. Mi ha permesso di guardare a Roma da una prospettiva diversa, estrema e vicinissima insieme. Molti romani riempiono il paese per le vacanze e altri hanno preso casa ad Anguillara per i costi più bassi continuando a fare da pendolari con Roma; dall’altra parte la grande città sembra voler mangiare il paese e le acque del lago, come è successo con l’Acea che per anni in estate ha attinto al lago di Bracciano per rifornire Roma, facendo abbassare terribilmente il livello dell’acqua.

Sebbene simbolica esiste un’altra protagonista femminile che abita il romanzo: l’acqua.

L’acqua del lago di Bracciano si inflitra, assume colorazioni diverse ed è portatrice sin dal titolo di uno specifico sapore. Siamo abituati a pensare all’acqua come ad un elemento connesso alla vita e alla sua formazione, ma nel romanzo, genera una sorta di inquietudine, che poi domina sino alla fine…

L’acqua è presente in tre modi nel romanzo. C’è l’acqua del lago ovviamente che è quella riconoscibile, nota, ma anche profonda e abissale, stagnante a volte; poi c’è quella del mare di Ostia dove va a vivere il fratello Mariano che è acqua aperta, dell’orizzonte impossibile e che invita alla partenza; e per ultima l’acqua presente o assente delle piscine comunali o private, acqua che può voler dire servizi che mancano o aggiunte di lusso alle villette borghesi.

Gaia è piena di rancore soprattutto perchè si sente limitata nelle sue scelte, nelle sue azioni e nella realizzazione di quelli che sono futili sogni che i suoi coetanei sembrano raggiungere con zero sacrifici. La narrazione è permeata dal senso di inadeguatezza e di privazioni. La povertà era già stata un tema presente anche nei tuoi lavori precedenti: quella del secolo scorso vissuta dai tuoi nonni, poi quella della povertà contadina di un paese. Che veste assume tra le pagine di questo romanzo?

Ho pensato a una povertà in questo caso meno condivisa, una povertà che si trova a fianco della ricchezza immersa in una società dei consumi, della rincorsa alla novità e alla spesa. Gaia non ha i soldi per comprarsi quello che gli altri alla sua età si comprano, anche il minimo oggetto non acquisito le brucia come una ferita. Negli altri romanzi la povertà era sempre presente come condizione di una comunità: la povertà durante la guerra alle soglie di Milano e la povertà dei mezzadri agli inizi del Novecento. In ogni romanzo provo a scrivere una prospettiva diversa rispetto alla società del benessere, ai movimenti che questa genera, ai desideri e le invidie.

Hai scelto di costruire la narrazione in prima persona: l’io narrante di Gaia è trascinante e torrenziale. La terza persona a cui sono abituati i tuoi lettori nelle storie precedenti è più libera e non ha continui predefiniti. Cosa ha dispiegato la via verso l’uso della prima e quanto è stato complesso distaccarsi dalla tua voce per affidarla alle idee e alle peculiarità di Gaia?

Ho pensato che fosse arrivato il momento di cambiare, di spingermi oltre la terza persona e gettarmi nel presente. La voce di Gaia è venuta da sé una volta che avevo scelto i suoi movimenti, le sue linee guida caratteriali e devo dire mi sono anche divertita molto a costruirla e a portarla agli estremi, rendendola pedante a volte, disturbante e fastidiosa.

Le relazioni più importanti della vita sono fatte di pesi: qual è il peso dell’amicizia per Gaia e cosa succede quando affronta la perdita?

Quando si è adolescenti le amicizie sono tutto, sono il nostro posto nel mondo. Ma Gaia non riesce mai, per sua colpa o per cattiveria altrui, a trovare esattamente una amicizia che la faccia sentire sempre al sicuro. Vive due perdite di amiche e le affronta in modo molto diverso, per entrambe in realtà prova profondo rimpianto, si sente inadeguata difronte a quelle morti e quelle assenze e reagisce con la sua solita rabbia, con cui colma tutti i vuoti.

La vita di Gaia si dispiega secondo delle tappe molto uniformanti rispetto a quelle delle generazioni attuali: composte da faticosi  percorsi per studiare e formarsi al meglio, per poi non trovare una collocazione adeguata e soddisfacente nel mondo del lavoro, spesso liquido e senza regole certe. In che modo guardi e senti sulla tua esperienza questo aspetto?

Gaia segue le tappe che tutte e tutti noi seguiamo per una parte della nostra vita, cioè quelle scolastiche e quando tenta invece di fare il passo successivo nel mondo del lavoro trova solo muri, dinieghi e no grazie. Non è un romanzo che parla di lavoro, ma si ferma prima, alle soglie del lavoro, quando è finita la formazione scolastica e si pensa di trovare presto un posto, un guadagno, un contratto. Lì finisce la storia di Gaia, prima ancora che tutto cominci, che arrivino gli adulti.

Che differenza c’è tra attraversare un dolore e circumnavigarlo?

Che i dolori attraversati sono i miei e quelli circumnavigati sono quelli altrui a cui mi sono ispirata per il romanzo.

Nelle note di chiusura al romanzo si fa riferimento alle personagge, una nuova definizione tra l’altro argomento di un libro di Silvia Neonato e Roberta Mazzanti, sui generi grammaticali e che ti è vicino poiché ti occupi di questioni di genere e letteratura. Quanto è importante accompagnare un percorso di cambiamento anche con le parole?

Molto importante, tutti i percorsi di cambiamento nascono dal modo in cui chiamiamo ciò che esiste e che sta cambiando. È una parola che mi è cara e che si riferisce alle donne scritte dalle donne nella letteratura e ai fili intessuti tra di loro, ai sommersi della letteratura, alle dimenticanze che ancora persistono nella cultura italiana e non solo.

Intervista a cura di Antonella De Biasi