VITA

In vana gioia
Questa mia vita
Vo consumando.
Schiariscon l’albe,
Cadono i giorni, maturi,
Nelle luci infuocate dei tramonti.
Come un ruscello
È mia vita, e continuamente
Si disperde.
Un giorno
Sarò tutto disperso.

Una poesia quasi epigrafica in cui Attilio Bertolucci riflette sulla caducità della vita, in particolare della sua esperienza biografica. Sullo sfondo naturalistico, molto caro al poeta, si staglia la dispersione dell’io, prima in un rapporto di costante tensione, poi in via irrimediabilmente definitiva.

Perché cominciare da qui?

Nella produzione poetica di Bertolucci è possibile fare una distinzione tra un ante La camera da letto e un post, dunque tra un primo e un secondo Bertolucci. La camera da letto, romanzo in versi pubblicato in due volumi tra il 1984 e il 1988, costituisce un vero e proprio spartiacque.

Se in Vita Bertolucci si pone in una posizione statica nella dialettica tra l’io e il tempo, ne La camera da letto il poeta metterà in discussione questo aspetto temporale, conferendogli – come vedremo – maggiore dinamicità e propensione al futuro. Nel romanzo in versi, infatti, Bertolucci racconta la storia della sua famiglia, grazie al ritrovamento di alcuni annali.  
L’annale costituisce un elemento emblematico nella costruzione del romanzo, in quanto sintetizza in sé la dialettica tra il presente, il passato e il futuro. L’annale svolge per Bertolucci la stessa funzione che ha la fotografia per Valerio Magrelli: «compiere la missione del ricordo».
Esso, infatti, segna la continuità tra chi non c’è più e chi resta e, con lo sguardo al passato, cerca di ricostruire il presente per conservare una speranza per il futuro.
Tuttavia, ciò non dovrebbe condurre il lettore a credere che si tratti di un romanzo autobiografico o che il modello da cui Attilio Bertolucci ha attinto siano i Buddenbrook di Thomas Mann.

Nel romanzo in versi di Bertolucci non c’è un percorso di formazione messo in fieri, né tantomeno si riconosce un vero centro della narrazione. Piuttosto è il lettore che deve cercare un senso all’interno delle brevi allusioni che il poeta dissemina nei versi:
«E in fondo nello stesso titolo complessivo, La camera da letto, vale più l’allusione al tema dell’interiéur di ogni possibile istruzione narrativa». (Lenzini L., Interazioni. Tra poesia e romanzo: Gozzano, Giudici, Sereni, Bassani, Bertolucci, ed. Fiesole, Cadmo, 2012, p. 202)

Dunque, tutto sembra suggerire l’idea che si tratti piuttosto di una vicenda tutta interiore che si sviluppa nei versi intersecandosi con la realtà. Forte è la dialettica tra realtà e immaginazione ed è questo che rende il romanzo un prodotto letterario unico nel panorama letterario del ‘900.

Bachtin parla di «rêverie», cioè quella fantasticheria in cui i ricordi del passato si fondono nel presente trascinando l’io in un’immaginazione in cui prende piede il flusso interiore dei pensieri.
È quanto avviene qui.

Infatti, il primo capitolo del romanzo si intitola: Fantasticando sulla migrazione dei maremmani.

Gettando un fugace sguardo al titolo, si nota come anche l’utilizzo del gerundio presuppone una sospensione dell’io rispetto alla realtà. È in questo tempo sospeso della «rêverie» che il poeta immagina i familiari che vanno alla ricerca del luogo dove fondare la casa di famiglia.

Dalle maremme con cavalli, giorno
e notte, li accompagnavano nuvole
da quando partirono lasciandosi
dietro una pianura
e dietro la pianura il mare e l’orizzonte
in un fermo pallore d’alba estiva.
[…].

(Fantasticando sulla migrazione dei maremmani, I cap., vv. 1-6)

Qui era tempo di fermarsi,
una terra per viversi, cavalli
e uomini, a lungo […].
(Ivi, vv. 61-63)

Un affresco quasi naturalistico che scaturisce dall’immaginazione. Da queste sensazioni dell’io, il testo piano piano acquisisce i caratteri della biografia, in cui l’io racconta della sua giovinezza, dell’incontro con il dolore e di altre esperienze che hanno a che fare con la psicologia interiore di Bertolucci.
Ecco che la «rêverie» sembra acquisire una funzione catartica, perché, grazie all’immaginazione, il poeta comincia a scrivere e, attraverso la poesia, riesce ad elaborare i ricordi e ricostruire frammenti esistenziali altrimenti perduti.
Altro tratto identitario de La camera da letto è l’utilizzo del presente, il tempo di chi racconta.

Cesare Garboli scrive: «Il tempo di Bertolucci è dunque tempo che scorre nei film, un tempo che fugge nel presente e non ritorna indietro». (C.Garboli, Attillius, in Falbalas. Immagini del Novecento, Milano, Garzanti, 1990, p. 233).

La successione dei fatti – A. che attraversa le strade e osserva gli eventi – sembra configurare una sequenza cinematografica, con primi piani e dissolvenze.
Sembra quasi – come sottolinea Luca Lenzini – che il poeta inviti il lettore a calarsi nei panni dello spettatore e a mobilitare lo sguardo, seguendo i passi dell’io protagonista e voce narrante.

Dunque, la dilatazione del tempo si arresta e tutto avviene in un eterno presente, in cui i personaggi restano sospesi e il monologo interiore trova la sua completa realizzazione.

Il ricordo della bambina Elsa
muterà corso come fanno i canali
che, noi camminando,
accompagnano con voce
chiara e uguale per lasciarci poi
senza che ce ne accorgiamo, perdendosi
chissà dove; ma intanto dentro
non è più come prima, la mente
s’è distratta dal suo chiuso penare,
gli occhi s’inumidiscono, grati
delle cose che illumina in distanza
il sole che va via.  Così si dirama
quel che resta di lei sopra la terra
e consola i superstiti che il biondo
dei suoi capelli e il nero dei suoi occhi
conobbero di persona, stupisce
e riscalda l’immaginazione di chi,
nato dopo di lei già ne supera
l’età piccola. Tu, sorella maggiore […].
(Elsa, IV cap., vv.171-189)

Questo passo – oltre ad emozionarmi particolarmente – credo che testimoni perfettamente quanto detto sino ad ora.
Da una parte, l’immaginazione del poeta che gli permette di recuperare un passato che, anche se non vissuto, ha costituito per il poeta un’ombra sottile, ma altrettanto pesante. Grazie a questo monologo interiore inaugurato nei versi, Bertolucci può far rivivere i fantasmi del suo passato e, in questo modo, elaborarli per avere la forza e il coraggio di andare avanti.

Dall’altra parte, la funzione del presente è emblematica.

In tutto il IV capitolo sembra che la morte della piccola Elsa e il conseguente dolore che ha dilaniato gli animi di quanti sono stati raggiunti dalla tragica notizia, siano ben chiari davanti ai nostri occhi, come scene rapide e indomite di un film.
Brevi sono i richiami, ma altrettanto forti e necessari per comprendere quel dolore che, anche se non vissuto, pesa come un macigno sulle piccole spalle del fratello minore A.
Ecco che, anche l’utilizzo del futuro diventa importante per la comprensione dell’operazione messa in atto da Bertolucci nel testo.

Ripercorrere il passato nel presente per costruire una possibilità di riscatto interiore per il futuro.

A lei N. affidò cura di famiglia e casa partendo
con A. per Roma, trasferimento imprevisto,
quasi senza ragione a metà della vita e sul declinare
[dell’anno
oggi rosseggiante di pomi
nell’orto da cui i due, in fraterna combutta
non divisibile, salutano chi se ne va e si duole e rallegra
del loro imboscarsi tinto dal sanguigno persistente sole.
Verranno nebbie nevi e geli che non conosceranno i
[partenti
ma i rimasti, a provare i loro ginocchi nudi, i loro
[giovani cuori.
(La partenza, cap.XLVI, vv. 35-45)

Il romanzo termina con la partenza della famiglia Bertolucci per Roma, evento risalente al 1951.

Emblematico è questo epilogo. La partenza presuppone una ripartenza, un ricominciamento in un altrove. E, forse, senza un occhio rivolto al passato, il poeta non avrebbe potuto compiere questo salto nel futuro.

Dunque, se in Vita Attilio Bertolucci non inaugura nessuna dialettica tra il presente e il futuro, concependo la gioia come cosa effimera e fugace, ne La camera da letto – al contrario – costruisce un vero e proprio ponte temporale, dal quale l’io trae nuova linfa vitale.

Perché senza ieri non si costruisce nessun domani.

Anna Rita Ambrosone