Per una lira è il titolo di una canzone di Lucio Battisti che comincia così: Per una lira io vendo tutti i sogni miei. E poi la voce a strisce di Battisti racconta la storia di qualcuno che a malincuore si distacca da una parte di sé. Ascoltandola, ho sempre pensato a chi scrive. In particolare agli esordienti. Chi, per la prima volta (e spesso per una lira) consegna il proprio destino al mondo. Nell’incertezza e nell’imprecisione, un esordio insegna a scrivere più di un capolavoro (anche quando le due cose coincidono: David Foster Wallace, La scopa del sistema, 1987). Per una lira è uno spazio dove leggendo le nuove voci della narrativa, italiana e straniera, metteremo in luce alcuni aspetti di un romanzo legati al gesto dello scrivere per la prima volta, ovvero alla scoperta della propria voce.

Alessandra Minervini, scrittrice, editor e writing coach. Il suo primo romanzo si intitola Overlove, LiberAria 2016. Nel 2021 pubblica Una storia tutta per sé. Raccontare se stessi per essere (più) felici con la casa editrice Les Flâneurs Edizioni. Il suo sito è alessandraminervini.info. Qui gli articoli pubblicati su exlibris20.


AA VV, Quasi di nascosto, Accento Edizioni 2023

Cosa scrivono oggi i giovani e i giovanissimi? Creata sul modello dello storico progetto Under 25 curato da Pier Vittorio Tondelli negli anni ’80, l’antologia Quasi di nascosto nasce per rispondere a questa domanda: vuole indagare sulla realtà che i ragazzi vivono e scelgono di raccontare, e allo stesso tempo offre un panorama di voci nuove, fra le quali potrebbero comparire alcune giovani promesse della nostra narrativa futura.
https://accentoedizioni.it/


Lezione n. 51

Scoprire voci inedite

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Se c’è stato un movente affettivo che mi ha condotto ingenuamente a orbitare nel mondo degli esordienti, questo è una parola: inedito. Termine semanticamente ambiguo, desta meraviglia e sconforto. Inedito è un manoscritto in cerca di una casa editrice, inedito è soprattutto uno sguardo. Un modo di guardare il mondo per la prima volta. Sono stata attratta a lungo, dunque, da tutte le collettanee che nei primi anni Zero (quando ho iniziato a interessarmene) si sono occupate di voci inedite. Nella duplice accezione. C’erano donne che scrivono di donne, ragazze per niente interrotte, paesaggi che diventano passaggi, personaggi underdog, modelli di orientamento di identità letteraria e antropologica. Erano dunque diversi anni, che non mi accadeva di ritrovare uno sguardo inedito in una collettanea di autori. È avvenuto con Quasi di nascosto che vanta un mentore, non a caso, noto per la vocazione verso le voci inedite. Nella duplice accezione. È lui, Matteo B. Bianchi, che rivela nella prefazione le intenzioni del libro.

«Il modello che avevo in testa era ovviamente quello, ormai storico, del progetto under 25 creato da Pier Vittorio Tondelli nel 1986. L’obiettivo dello scrittore era di compiere un’indagine letteraria per vedere come e cosa scrivessero i giovani dell’epoca.»

Una dichiarazione d’intenti confermata dall’editore della neo casa editrice, Alessandro Cattelan. In Quasi di nascosto dodici voci emergenti si confrontano con temi, storie e confini spesso teneramente più grandi di loro.

“Il mercato attuale è dunque ricco di esordienti, ma la loro età media si avvicina più ai trent’anni che ai venti. Ecco dunque il senso di provare a ripetere, quasi quarant’anni dopo, un’operazione di monitoraggio simile a quella condotta da Tondelli.” Senza esitazioni questa è un’antologia che tornerà utile alle stesse voci al suo interno, perché capiranno solo dopo, tra un bel po’ di tempo quale è stata la loro voce.

Se dovessimo trovare una strada comune per ognuna delle dodici voci presenti questa ricondurrebbe al titolo, ogni voce, seppure diversa dall’altra, condivide uno spasimo, una specie di sussulto inconsapevole, di chi racconta una storia “quasi di nascosto”.

C’è chi si trova nel bel mezzo di una notte estiva, fuochi e fiamme, pentimenti e rimorsi, il ritmo greve dell’amore inopportuno come un passaggio di spoken words (“Agnese di diverte” di Teresa Fraioli); c’è chi punzecchia la monotonia delle giornate, mettendo alla prova un’amicizia maschile in cui si sperimenta la potenza del non detto che in un racconto dice tutto (“Strenta” di Riccardo Casella); c’è l’eleganza di una prosa controllata con lucidità e consapevolezza in una scena, dalle sembianze autobiografiche, in cui tutto si poteva fare tranne che mantenere il controllo con tanta sapienza (“The time of my life” di Ruben Rossi).

«Avrei preferito non farlo mai. Ma eravamo chiusi in uno scantinato, un rifugio antiaereo. C’erano solo materassi e patate. Nessun altro oggetto. Erano i primi giorni di invasione, a Kiev c’era chi si rifugiava nella metro, chi semplicemente scappava, noi avevamo quella specie di scantinato. Apparteneva a degli amici dei miei. Stavo lì insieme a un ragazzo, mio coetaneo. Vent’anni.»

La scoperta del sesso, la prima volta di una storia scritta che si immerge nella prima volta di un’esperienza sessuale, la scoperta del corpo come la scoperta di una voce, senza vergogna ma con il pudore di chi racconta la fine di una vita dentro un amore gay estivo (“Ragazzacci” di Nicolò Bellon); si prosegue con il racconto della prima volta in cui una ragazza diventa donna eppure per lei è solo fisiologia non identità, la negazione dell’esterno per l’affermazione dell’interiorità (“Non diventare donna” di Martino Giordano); la spettacolarizzazione delicata e mai ruffiana di un amore tra donne, nascosto sotto il velo di pulcinella, una storia tra le più cicatrizzate, complice uno sguardo autoriale dall’alto che fa una cosa molto under25: non perdonare le proprie Maestre (“Abbandono” di Michela Panichi).

«La signorina Doria si lavava ogni sera. Passava scrupolosamente l’asciugamano in ogni piega, ogni punto del suo corpo, dalla clavicola al retro della coscia, piatto. Indugiava sulle dita dei piedi come se ognuna di loro avesse una personalità propria. E mentre sedeva sul gabinetto, dedicando minuti di meticolosa pulizia a sé stessa, lei sapeva che noi la stavamo guardando.»

Non ci sono confini tra linguaggio e corpo, tra desiderio e nausea, niente è un tabù nemmeno la devozione per alcuni mostri sacri come Miller, Bukowski, Palahniuk, ogni dettaglio nutre un assolo senza fiato dove il ritmo è più importante della trama, come nel pezzo dei Pink Floyd citato nell’esergo (“Al di là del principio del D’Angiò” di Michelangelo Innocenti); Greta Fabbri è il nome della protagonista di un racconto delicato e netto, la storia di una ragazza italiana di colore che si specchia nei colori e nelle trasparenze di chi la circonda, certa come è che sia più importante piacere che piacersi, fino alla commozione (“Pelle italiana” di Aminata Sow); pare dotato della stessa sorte di incomunicabilità devastante eppure obbligata, Primo che nel successivo racconto è il punto di vista da cui osserviamo la storia di un prete, dalla doppia anima, che non sa, e forse non vuole, come salvare un neonato, un racconto inedito anche per il coraggio dell’invenzione linguistica (“Primo” di Micol Maraglino).

«In sogno gli apparve di nuovo la figura tetra e famelica dell’avvoltoio. Gli roteava sulla testa, minacciando di scendere in picchiata per cavargli gli occhi dal cranio, graffiargli il petto e la schiena, arrivare a staccargli gli organi interni col becco. «Kaverak! Fa’Ijir Em!» gracchiava l’avvoltoio. «Il corpo! Il corpo!» gridava Primo nel sonno.»

Voi siete giovani, noi no è il sottotesto, urlato in silenzio, di un gruppo di ragazzi che in piena estate condividono la loro giovinezza, le escoriazioni goliardiche, la paura della polizia e del controllo sociale, la sensazione che se non è mai decollato l’esperanto come lingua comune, la giovinezza invece ce l’ha fatta, tutti parlano la stessa lingua anche se provengono da Paesi diversi e uno dei lemmi più appassionanti è anche la brevità, intesa come infinito (“Notturno dissacrante” di Giovanni Venturi); il passo di una scrittura è dato dalla voce, quello della protagonista del penultimo racconto ha il passo di una marcia sacra, no funebre ma nemmeno allegra, di una donna che sceglie di andare ogni giorno a trovare un carcerato, forse come forma di redenzione da sé stessa oppure come affiancamento involontario all’istinto del male, nel racconto più ferocemente credibile del bene (“Nel cuore della matrioska” di Isabella De Silvestro) e infine, l’ultimo racconto, è la danza epilogante di ogni voce da quella nata per inedia a quella votata alla ribellione (“Miasma” di Emma Cori). Che cos’è l’amore? Tutto che non diventa niente mai, nonostante gli sforzi. Come scrivere, non ti abbandona anche se tu ci provi. È un conflitto senza senso di colpa ciò che vive un ragazzino di poco più di vent’anni, innamorato e ricambiato della madre di una compagna di classe, che invece ama lui. L’amore è tradire sé stessi, come scrivere, e farlo bene, “quasi di nascosto”.

«E poi, lui e Maria Elena sono simili. Prima bambina infelice e ora donna infelice: a Nicola non dispiace, le sente addosso qualcosa di uguale a sé. Improvvisamente è eccitato e rabbioso come lei; e spinge il motorino fino a villa Nastasi. (…) Anche dentro villa Nastasi è tutto buio e caldo, ma le tapparelle abbassate danno l’illusione di stare al fresco. Un’unica bava luminosa filtra dal piano superiore, in cima alle scale. Nicola sale i gradini. La rabbia si gonfia, si muove, lo alza, e lui non prova più a trattenerla.»

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UNDER 25, BELLI E PERVERSI, transeuropa

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