Un aspirante lettore addentrato nel panorama della musica indipendente avrà sicuramente familiarità con il titolo di questo libro di poesie scritto da Felicia Buonomo. Cara Catastrofe è, infatti, una canzone di Vasco Brondi che l’autrice ha adottato per dare un nome alla sua opera prima, pubblicata da Miraggi edizioni. Di quale catastrofe vuole parlarci Felicia Buonomo in questo libro? Dal punto di vista etimologico, il termine indica un capovolgimento: in questo si intravede in modo dettagliato la natura ossimorica che muove la poesia dell’autrice lombarda. Cara catastrofe è un libro che intende indagare sulla violenza, in particolare sul rapporto vittima-carnefice. All’interno di questa dialettica, un bilanciamento tanto complesso e doloroso diventa “caro” in quanto abbraccio del proprio senso di colpa.

Cara Catastrofe,

non chiedermi cosa penso
se ho un ramo di mano sulla fronte.
Reggo le foglie dei miei tormenti
su cui ti adagi leggera.

La prima delle tre sezioni del libro, anch’essa denominata come il titolo dell’opera, si compone di liriche brevissime, tutte indirizzate alla stessa destinataria, la Catastrofe, che qui non assume delle fattezze reali o umane, ma rappresenta una condizione generale e vitale. Immediatamente ci si rende conto che il taglio non vuole essere accusatorio: Felicia Buonomo spinge la propria indagine poetica verso la vittima, mettendone in luce la natura assolutrice in relazione al carnefice. Si tratta di un’operazione di scrittura dove l’empatia gioca un ruolo fondamentale. Soluzione irrealistica? Nient’affatto!

Felicia Buonomo è una giornalista d’inchiesta e le sue deduzioni poetiche si basano sui confronti diretti con le vittime, colloqui dai quali l’autrice ha ricavato delle suggestioni molto forti confluite successivamente in una rielaborazione poetica. Da qui si comprende la scelta di un dettato poetico scarno, interamente basato sul dettaglio emozionale racchiuso in una parola minuta, evocativa, ma volutamente precaria. L’io poetico tenta con abilità un sovvertimento della realtà attraverso l’esercizio del dolore proprio che vuole essere compassionevole per quello altrui. Qui si mette in scena l’efficacia di un inganno autolesionista, ma costruito per far fronte alla propria inadeguatezza: «Non c’è spazio per replicare. / E io continuo a improvvisare».

Aggrappata ai fargli rami
delle mie paure,
nelle intemperie del tuo vento,
ti guardo oltre il fiume.
Ci separano secoli di distanze,
poggiati su una bilancia
traboccante di tristezza.
Mi punisci come una colpa,
che mi viene da un passato ignoto.
Con l’ossigeno assente
della mia forzata apnea
mi getti nella furia del fiume,
che non perdona l’impotenza
del suo inesperto navigante.
Persino la pioggia
è più pesante di me.

Smagrita di malinconia
osservo il suo tocco sul verde.
E lo paragono al mio.
Ho un battito di polso fragile
per ogni percossa taciuta.

Nella seconda sezione, Corpo (si noti come le varie parti che compongono il libro richiamino la struttura della lettera), vi sono contenute le poesie più articolate e probabilmente anche le più incisive. Se le nostre azioni, anche nelle manifestazioni più dolorose, passano attraverso il corpo, al lettore non sfuggirà la bivalenza del titolo di questo secondo atto di Cara Catastrofe. Qui la voce poetica combacia con quella delle viscere e va ulteriormente in profondità alla ricerca dei meandri della colpa, le liriche sono ancora più articolate e penetranti, entrano in gioco simboli e similitudini dipanate in un flusso inarrestabile, come la lirica di sopra riportata. Si accentua il taglio confessionale, l’impatto resta sempre molo forte, ma si lascia spazio a ulteriori riflessioni che si caricano di immagini supportate da guizzi interessantissimi, espressi con la forza di una parola diretta e penetrante: «Non si può portare una donna / fuori dalla sua colpa», «Il lavaggio è per definizione insufficiente / davanti all’usura. / E la verità è sempre a posteriori», «Così sono io per te: / una malata terminale / da cui nulla ricevere / e per cui nulla dover desiderare» sono solo alcuni esempi di un linguaggio che apparentemente flirta con un taglio sloganistico. In realtà si sottende una dimensione decisamente testimoniale che realizza il proprio desiderio di empatia attraverso incisi fulminei.

E ora che nemmeno l’idea di te
mi fa compagnia
mi sento orfana
di desideri che non ho.

Chiude il libro la terza sezione, Sinceramente Tua, nella quale ritorna una parola minuta, stavolta maggiormente disincantata eppure al tempo stesso nostalgica. In assenza del carnefice qualcosa della vittima si perde: è un’intima e profonda ragione che non si capacita dello smarrimento della propria identità e alla mancanza di dolore subentra altro dolore. L’inganno è svelato, la dimensione sognata non può trovare dimora se non nell’irrealizzazione: «Amore in prestito ai miei sogni, / che come te / non si avverano mai». È un’amarezza che non cede semplicemente sotto le sferzate del senso di colpa: la colpa stessa e la responsabilità diventano depotenziamento di un atto vitale nel tentativo di orientarsi in una dimensione del tutto nuova: convivere con se stessi e le cicatrici della propria storia.

Felicia Buonomo mette a segno un esordio riuscito e convincente, ben strutturato e figlio di un dire influenzato da un taglio squisitamente giornalistico. Si potrebbe forse definire questa una “poesia d’inchiesta”, laddove i fatti di cronaca che hanno suggestionato la nascita di queste liriche non prevaricano mai sul linguaggio poetico. Questo è il tratto più interessante di Cara Catastrofe, al di là dell’importantissima tematica messa in campo: lo stile giustifica ampiamente il valore dell’opere in quanto è sempre il “come” a stabilire la necessità e il potenziale di una scrittura.

Federico Preziosi

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