In un’era dominata dai social network, dove le parole tendono a scolorire nella continua pretesa di ottenere un impatto con frasi a effetto a tutti i costi, è sempre più importante dare importanza alla lettura dei testi. A ricordarcelo ci pensa Lucia Triolo con un’opera edita da Prometheus, molto interessante, che porta un titolo emblematico: Debitum.

Il debito poetico rappresenta un rapporto con l’altro, principalmente un Io e un Tu, capace di generare qualcosa in termini identitari, ma soprattutto creativi in questo caso. «Dare ascolto a un’opera d’arte significa sia ritrovare qualcosa di sé, sia invocare l’alterità radicale rispetto a questo sé. L’opera d’arte, quindi, mette in sintesi l’estraneità e l’identità: io sono l’altro finalmente!» suggerisce Giuseppe Cerbino in un ampio saggio introduttivo all’interno del volume. In questa necessità di essere altro, di identificarsi con esso, ruota tutta la poesia contenuta in questo libro suddiviso in due sezioni: Debito poetico e Divagazioni e assonanze.

Tutti i componimenti sono aperti da un passo, il debito poetico, matrice della suggestione che si sviluppa ex novo in versi istrionici e ispirati. La citazione sa essere innesto, ispirazione o entrambe le cose e per questo non perde mai la propria funzione, ossia quella di scuotere, di muovere le acque del pensiero, e trattandosi di poesia, in chiave emotiva.


Non voglio

“la verità è un evento
di cui bisogna vendicarsi”.

A. Rosselli, Appunti sparsi e persi

Non voglio barattare la terra
col cielo
oggetti a me noti
disperazioni care
la fuga della domanda
nel bianco degli occhi

ricucio l’ieri e l’oggi col domani
io qui che vivo il prima e il dopo di ogni istante

e a ciò che manca dico: aspetta e
a quel suono
quel suono che mi cerca e
che fa male di bellezza
non rispondo mai
                      perché morrei

lascio la mia ferita aperta
da lì passa la terra col suo orrore
                     col suo amore
lo sai? vero

c’è un’innocenza di cui vendicarsi
per questo sono qui.

Questa lirica rappresenta abbastanza bene il modus operandi adottato dalla poeta palermitana nel suo Debitum. Se partiamo dalle parole chiave della citazione di Amelia Rosselli, ossia verità e vendicarsi, ci accorgiamo che nella rielaborazione di Lucia Triolo verità coincide con innocenza. C’è qualcosa di incorruttibile che nell’animo umano si esprime attraverso il dolore e in questo passaggio si colgono la consapevolezza e la tenacia dell’Io. Se l’esserci e il vivere appaiono una sola cosa, è possibile che attraverso l’accettazione del fenomeno si compia un paradosso: la vendetta è un atto che richiama alla vita, alla propria origine, nonché alla purezza, ma ha bisogno del dolore per generarsi. Sicché una vendetta, che nei fatti si consuma, non arriva mai a compimento. Per questa ragione la verità, così come l’innocenza, è ricerca perpetua e mai definitiva: in questa contraddizione si svolge l’attività umana nella propria pienezza.

Abbiamo dunque visto come il Debitum agisce sulla versificazione, quella di Lucia Triolo mai sentimentale, anzi spesso giocosa, teatrale e personale. La finzione poetica è un’arte nei momenti in cui ci si riappropria della vita per restituirla in toto al lettore; la finzione è strumento vivo della parola laddove ci fornisce degli strumenti per addentrarci in quella realtà generata dal rapporto che noi lettori instauriamo col testo. Lucia Triolo ha scelto di palesare in parte i luoghi a cui attinge in qualità di lettrice, ma in veste di poeta rimodula il proprio passo seguendo le orme delle parole raccolte.

Il risultato è avvincente, il lettore troverà sicuramente immagini e spunti di riflessione molto stuzzicanti e acuti sui temi esistenziali più vari. Debitum rappresenta un vero e proprio esercizio alla compenetrazione testuale laddove si è chiamati a intervenire su un doppio livello: quello della citazione, a volte anche estrapolata dal contesto originario, ovvero totalmente selezionata dall’autrice, e quella dello sviluppo poetico. Non è un caso che Lucia Triolo abbia chiamato in causa, in particolare per titolare la seconda sezione, termini quali divagazione e assonanza: essi descrivono bene questo gioco poetico dove l’aderenza non può essere perfetta, ma questo non costituisce un handicap, al contrario è un’occasione per mettersi in gioco restituendo la suggestione testuale. I debiti dell’autrice palermitana, inoltre, non sono solo poetici in senso stretto, ma cinematografici, visuali, musicali. Tutto può essere rielaborazione, da un semplice ut pictura oraziano fino a una “variazione sul tema”: riferimenti come quelli presi da Fellini e Visconti, Ernst o Bruch sono abbastanza eloquenti in tal senso e in questo, che possiamo definire,“fruire restituendo”, si denota la parola scaturita dal debito.

«Chi non legge, a 70 anni avrà vissuto una sola vita: la propria. Chi legge avrà vissuto 5000 anni: c’era quando Caino uccise Abele, quando Renzo sposò Lucia, quando Leopardi ammirava l’infinito… perché la lettura è un’immortalità all’indietro», affermava Umberto Eco. In queste parole è possibile rintracciare il senso del debito poetico, un espediente che Lucia Triolo offre generosamente con eleganza, convinzione ed estrema intelligenza.

Federico Preziosi