Come può l’Irlanda stare tutta contenuta in un libretto così pieno di silenzio? Andate a chiederlo a Dora Murphy, vivente e ormai alla soglia del centesimo compleanno, che oggi risiede a Carlow ma non resiste a lungo lontana dalla sua adorata Dublino e ogni tanto ci si fa riaccompagnare dai nipoti. Difficile, praticamente impossibile trovarla nelle antologie, ci assicura Rosangela Barone, traduttrice e curatrice del volume, perché Dora ha condotto e conduce vita molto appartata, e soprattutto ha fatto confluire le sue epifanie della memoria in una manciata di cristalline composizioni, che si contano sulle dita. I nove mirabili racconti riuniti nella raccolta Sotto gli occhi di uno sbirro sono la sua opera omnia, cui è da aggiungere soltanto un racconto di viaggio rimasto escluso dal volume perché trattasi di un’opera non di fiction. A quanto pare, Dora è stata troppo parca di scrittura, affermazione che risulterà assolutamente infondata fin dalla lettura delle prime pagine.
Perché con i suoi essenziali ritratti d’Irlanda e d’irlandesi non solo Dora è «uscita dal silenzio», come invitava lo scrittore Sean O’ Faolain dalle pagine di The Bell nel 1943 (epoca in cui la nostra cominciava a scrivere), ma ha fatto molto di più. Individuato proprio nel silenzio il principale tratto della sua terra e dei suoi abitanti, a quello – con fortissimo stile, quasi trasparente – ha dato voce. Così tutti i suoi racconti sono incentrati sull’eloquenza del mutismo, del trattenimento di parole: «Rimasero seduti a guardarsi, gli occhi carichi di un significato inesprimibile, un’inabilità quasi animalesca di dar forma ai propri pensieri», così dice la voce narrante di Dympna, ma la situazione si ripete spesso, puntuale, si direbbe, ad ogni racconto. Genitori che non parlano perché schiacciati dai loro problemi economici, bambini che senza capire guardano muti e comprendono tutto, anziane signore arzille che tacciono la paura o il giudizio di fronte a realtà a loro incomprensibili, nonni burberi che comunicano con i nipoti attraverso la commozione degli occhi e il traboccamento d’affetto dal cuore.
Sarà per questo umanissimo silenzio rispettato fino in fondo che poi i gesti e le battute dei personaggi sono così veri, delineati da una parola che non mira mai a confondere le acque, o a manipolare la sua materia, tesa com’è a catturare quell’istante di vita, testimoniarne la ricchezza, l’inesauribilità di sfumature. Perché, è ovvio, c’è silenzio e silenzio. Silenzio di impotenza di fronte a un dramma che inginocchia, silenzio di rispetto per l’intimità dell’altro, silenzio dettato da un colmo d’emozione, o per banalissima dimenticanza, che in realtà è conquistata consapevolezza che nessuno ha il diritto di suggerire nulla agli altri, di pronunciarsi sulla vita, tanto le cose vanno come vuole la ruota del destino, e se devono girare girano per il verso giusto, altrimenti prendono una brutta piega, e anche lavorando tanto di linguaggio non c’è verso di rimetterle in sesto.
La secchezza dei modi unita al dolce abbandono a un’incognita di vita superiore al volere dei singoli è sia la cifra stilistica della Murphy che la sostanza dei suoi indimenticabili personaggi. Questo curioso binomio consente di mantenere lo scoppiettante equilibrio familiare, che alla prima occasione propizia esplode volentieri in scontro aperto. Ma quanta umanità e densità di sentimenti scuotono le mura domestiche! In Peter, gioiello tra preziosi della raccolta, sono presenti tutti gli ingredienti di contrasto, pronti a infiammare l’atmosfera. Irredentista e uomo di fede da giovane, ora Peter sostiene di non credere più in nulla di trascendente, e appena la moglie gli invia l’ennesimo evangelista sotto mentite spoglie per riportarlo sulla retta via, lui, intuito l’ormai trito tranello, scappa a far quattro chiacchiere al pub, pur di evitare la predica. Il conflitto generazionale vuole che suo figlio gli venga incontro dalla parte opposta della vita, decidendo di farsi prete. Al momento dell’ordinazione, mentre la madre spedita s’inginocchia in prima fila, segretamente orgogliosa, Peter vorrebbe restarsene ingrugnito nell’ultima, a lanciare staffilate su tutti, figlio compreso. Nemmeno davanti a lui tace il disprezzo per la sua scelta, ma vorrebbe aggiungere qualcosa, chiedergli altro, e non gli viene niente alle labbra.
Quasi tutti i racconti non finiscono, restano sospesi, in tutto e per tutto fedeli alla vita. Perché non sono mai retti da una trama pensata a tavolino. Dora Murphy, col suo finissimo orecchio, ascolta attentamente senza lasciarsi sfuggire una sola parola e nulla aggiungendo, ed è il dialogo, a sua volta emanazione del sangue e dell’umore imprevedibile dei personaggi, a tessere l’istante. Quel che accade a un certo punto, è che si stacca la corrente, niente di più. Passato quel momento in cui la scrittura è riuscita a varcare la porta e fare luce, tutto continuerà mutando, si sente. Nemmeno il gesto più netto, apparentemente decisivo, conclude. Solo precipita i personaggi a contatto con il lato più spoglio e bruciante della vita, e loro se lo vivono col giusto stupore, increduli e zitti. È quello che accade alla fine di Dympna, storia di una moglie gelosissima della foto di una giovinetta tutta casa e chiesa che il marito da anni e anni conserva nel portafoglio come una reliquia. Quando alla fine l’uomo si decide, e getta la foto nel fuoco, la moglie quasi ne è dispiaciuta: «Kitty raccolse le camicie dal parafuoco e uscì dalla stanza. Senza accendere la luce si diresse per le scale, verso la camera da letto. Il riverbero di un lampione penetrava attraverso la finestra, proiettando dei rettangoli sul muro oltre la sopracoperta bianca, ghermendo uno spazio metallico della toeletta. Restò lì, tremante, nella semi-oscurità, nel silenzio della notte di maggio».
Così si chiude il racconto, ma la vita è breccia appena aperta.
Monica Pavani
«Tess si tolse il cappello e il soprabito, passandosi le dita fra i capelli. Rimase davanti allo specchio, raddrizzando le spalle, come a scacciare l’inclinazione a chiudersi nei propri pensieri.»
Dora Murphy
Il libro nel 1998
Dora Murphy
Sotto gli occhi di uno sbirro
Mobydick 1998
Trad. a cura di Rosangela Barone
pp. 126, L. 18.000
Il libro attualmente è fuori catalogo
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