Numero 12 | Settembre 1998

A volte un incipit dice tutto. «Troppo cerebrale per capire che si può star bene senza complicare il pane / ci si spalma sopra un bel giretto di parole vuote ma doppiate / Mangiati le bolle di sapone intorno al mondo e quando dormo taglia bene l’aquilone / togli la ragione e lasciami sognare, lasciami sognare in pace». Un testo che inizia così non può certo essere catalogato nel genere canzonetta e il suo autore, Samuele Bersani, giovane ed eclettico artista, giustifica il recente fermento creatosi intorno alla canzone d’autore italiana. Spuntano nuove rassegne per musica di qualità (il Premio Recanati si affianca al tradizionale Tenco), e in alcuni libri di letteratura compaiono tra gli scrittori contemporanei i più illuminati autori di canzoni. Tra i concorsi estivi (in cui si assegnano titoli di ogni genere) spicca per originalità e buon gusto il Premio Lunaria, giunto quest’anno alla terza edizione svoltasi ad Aulla, in provincia di Massa Carrara. Il riconoscimento si propone di segnalare il valore letterario della canzone italiana. Per il ’98 la giuria ha deciso di attribuire il premio (andato lo scorso anno a Fabrizio De André) a Samuele Bersani, per la canzone Giudizi Universali. Una scelta da condividere in pieno, perché da anni Bersani, dietro la facciata sbarazzina che mostra in TV con le hit più divertenti e popolari: Chicco e Spillo, Freak, Coccodrilli, pure caratterizzate da testi fantasiosi e mai banali, nasconde una vena di cantastorie ispiratissimo e delicato, in grado di toccare con leggerezza i temi più scottanti, emozionando sempre per la fortissima sensibilità dei suoi versi. Nei tre LP prodotti finora si trovano delle vere gemme, canzoni sconosciute al popolo delle radio e dei Festivalbar, ma così belle da procurare a Bersani l’incondizionata stima di tutti gli autori storici della canzone italiana, e non solo.

«Basta passare la voce che il mostro è cattivo/ poi aspettare un minuto e un esercito arriva / Bombe e fucili, ci siamo, l’attacco è totale / Gruppi speciali circondano il vecchio cortile / Dicono che sono pronti a sparare sul mostro / Lo prenderemo sia vivo che morto sul posto / Dicono loro che sono soldati d’azione I classe di uomini scelti e di gente sicura/ ma l’unica cosa evidente/ l’unica cosa evidente è che il mostro ha paura / il mostro ha paura».

Chi ha seguito Bersani fin dall’esordio ha potuto immediatamente intuirne le doti, fin da questa toccante Il mostro, in cui il rovesciamento del punto di vista comune diventa la visuale per guardare all’uomo, a qualunque uomo, senza i fanatismi, le ipocrisie e le facili demonizzazioni dell’opinione pubblica. Anche il cosiddetto mostro ha paura, è uno di noi, e come tale va trattato, sottraendosi alla moda forcaiola che ottenebra ogni forma di comprensione e riduce davvero l’uomo in una condizione mostruosa. A Bersani interessano le persone nella loro dimensione privata, più che i gruppi, le masse, le ideologie collettive. «In un recinto chiuso non ci sto, oh no … / né con la destra ma nemmeno col PCI / che bestia, che bestia!» così canticchiava qualche anno fa, incontrando addirittura la censura ai tempi della bislacca par condicio.

La scelta di visuali particolari per guardare alle cose si conferma nell’amore per storie marginali: il piccolo macellaio di Acireale invaghito di una sua cliente, i teppistelli di quartiere più volte impersonati, il sogno dei profughi per una vita migliore in Barcarola albanese, un vero gioiello. Fino alle canzoni dell’ultimo disco: da Braccio di Ferro per una volta innamorato di Bruto anziché di Olivia, fino al disperato appello ultraterreno di un tifoso di calcio privo di affetti in Coppa Uefa. È anche una storia di collaborazioni importanti quella di Bersani, che ha avuto l’onore di scrivere per Lucio Dalla e ha prestato a Fiorella Mannoia, la sua Crazy boy, poi eseguita insieme alla Piccola Orchestra Avion Travel nell’ultimo disco. «Le pozzanghere e le nuvole sono di cartone / i palazzi con la luna sopra sono un’illusione I intanto è notte e anneriscono tutti i corridoi/ ma c’è una stella accesa solo per Crazy boy».

Certo non mancano le storie d’amore, mai comuni, scontate e invece sempre lievi impregnate di un sentimento intenso, ma non arrogante, quasi non completamente espresse. È un amore «intrappolato tra le piume del cuscino» quello che Bersani canta in 2 settembre, La fine di una storia, Spaccacuore o anche nella ballata che funge da colonna sonora della sua carriera: la semplice e icastica Restiamo ancora qui. È sorprendente, ma allo stesso tempo consolante, che una tale profondità di sentimenti emerga da un ragazzo dall’aria scanzonata, che indossa maglioni grunge e porta collanine colorate, uno che non ha vergogna di iniziare una sua canzone con «ciao ciao belle tettine». Non certo per vendere qualche disco in più, ma perché in lui la leggerezza e la pesantezza convivono così bene che forse Milan Kundera, conoscendolo, aggiungerebbe un paragrafo a L’insostenibile leggerezza dell’essere.

Roberto Tucci

«Che stupido! Potevo incularmi le nuvole, sputare di lassù, invece di provare a fare il geometra»

Samuele Bersani

Samuele Bersani insieme a Pacifico e con la partecipazione straordinaria di Francesco Guccini ha scritto “Le  storie che non conosci”: una canzone dedicata al libro, nel 2015 colonna sonora di #ioleggoperché, il progetto nazionale di promozione della lettura organizzato dall’AIE.
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