Parlare di Ida Travi è una scommessa che si rischia di perdere in partenza, considerando la mole della produzione, poetica, teatrale e saggistica. Si ha sempre l’impressione che sfugga molto, troppo, anche in fase divulgativa, ambito nel quale certi limiti vengono ampiamente messi in conto, si ha la sensazione di perdere pezzi per strada. Il che non è detto che sia una cosa riprovevole, del resto l’incontro con la poesia può avvenire anche perdendosi.

Comincerei col dire che quella di Ida Travi è una scrittura essenziale capace di porre il lettore dinanzi a un potere della parola nuda e inerme. Condivido questa idea perché, sebbene l’autrice si esprima in poesia attraverso storie scandite da un io-narrante trapiantato nei versi, ogni componimento rappresenta un sasso gettato in uno stagno il cui fondo cela tutta la suggestione misteriosa dell’umano, l’aspirazione all’altro, l’allusione all’altrove e al non visibile. 

Ciò risulta ancora più sorprendente se ci soffermiamo sul linguaggio, tanto scarno quanto enigmatico, tanto impenetrabile quanto cantabile. E come “cantare” la poesia nell’epoca in cui i linguaggi sono stati frantumati? Operando un rinnovato assemblaggio capace di ritrovare la propria forza nella memoria e nella gestualità derivante prima dal teatro e, successivamente, da un certo modo di fare cinema in cui l’esperienza del corpo va oltre le parole. Le poesie di Ida Travi sono fatte per essere declamate, sulla carta sembrano avvertire tutta la propria incompletezza. Il foglio è come una partitura che ha bisogno di essere eseguita, interpretata attraverso una prassi del tutto ignota se si ha scarsa dimestichezza dell’epoca di riferimento. Queste poesie sembrano riprodurre un’epoca senza tempo, simile al nostro passato, ma non esattamente parte di esso. È un mondo parallelo così diverso eppure simile al nostro.

Le considerazioni che mi sono sentito di riportare potrebbero andare bene per qualsiasi episodio della Saga dei Tolki, una serie di opere ideate dall’autrice in cui si susseguono le vicissitudini di una moltitudine di personaggi immaginari, che dunque si muovono all’interno di un mondo di fantasia e si rimodulano a partire da nomi allusivi e familiari in ambito letterario. Tolki, per esempio, non rievoca il nome del grande J. R. R. Tolkien, autore de Il Signore degli anelli? Uno dei precedenti titoli di questa saga, Dora Pal (Moretti&Vitali 2017), non ricorda il celebre romanzo di Molnár I ragazzi della via Pál? Magari sono solo impressioni, in parte fondate, in parte no, ciò può significare tutto e nulla, ma resta una base originaria e letteraria tutta da scoprire che al tempo stesso resta totalmente svincolata dai propri riferimenti, presunti o veritieri che siano. Del resto Tolki, rievoca il termine inglese Talkie, ossia cinema sonoro.

Mi perdonerete per i preamboli, ma queste libere riflessioni servono per poter parlare del “libro perduto” di Ida Travi, Muscèt parla col cane, edito nella collana de I Cervi Volanti, per le Edizioni Volatili. Muscèt richiama il film Mouschette, tutta la vita in una notte del 1967 di Robert Bresson, così come ammette l’autrice all’inizio dell’opera, da qui si comprende il legame col cinema. Muscèt è il sesto libro della saga dei Tolki, pubblicato successivamente al settimo, (altrimenti che libro perduto sarebbe?) e, al pari del precedente, non lo troverete in libreria, perché la poesia è qualcosa che in un’epoca come questa deve essere ricercata, scovata e preservata. La poesia non è roba da copie che restano sugli scaffali o che vanno al macero. Dunque, se vorrete scoprire la poesia di Ida Travi potrete rivolgervi al vostro libraio di fiducia oppure indirizzarvi su qualsiasi store online, Moretti&Vitali continua a diffondere la sua opera. Se invece state cercando proprio le poesie di questo libro, dovrete scovare proprio lei, Ida Travi in persona. Questa edizione è una vera chicca: la grammatura spessa della carta alternata ai fogli traslucidi, il carattere di stampa, le illustrazioni, i meravigliosi segnalibri contraddistinguono il lavoro di Giorgiomaria Cornelio e Giuditta Chiaraluce e sono tutti elementi distintivi dei loro libri non in vendita nei canali convenzionali.

Fin qui si è dato qualche elemento stilistico connotativo, qualche riferimento plausibile e un mucchio di informazioni sul paratesto: in questo mare di mistero e incompletezze, nulla sembra essere lasciato al caso. Ma la poesia dov’è? Andate a cercarla nei luoghi più impensati, leggetela ad alta voce, appropriatevi della parola di Ida Travi perché l’esperienza della lettura non vale qualsiasi analisi, perché l’autrice compone il tutto per poter essere memorizzato e perché questo libro esige una esperienza di lettura differente che attraversa le scene “in arte povera”, così vicine al cinema francese, ma anche così accostabile a certo teatro nordico. Del resto le ambientazioni rintracciabili nei libri di Ida Travi portano in luoghi immaginari tipicamente europei, ma per nulla mediterranei, possono ricordare la Russia oppure l’Islanda, possono raccontare di storie incompiute, un po’ come quelle delle favole che hanno il sapore antico e si tramandano oralmente. È tutta una questione di voce, l’oralità a cui ambisce il testo esige un corpo in cui risuonare, riporta con nostalgia all’infanzia, a un futuro in un luogo lontano, al pensiero remoto in cui da qualche parte affiora un ricordo, una dimenticanza, un’eco. Provare per credere!

(dormono sotto la neve)

Dormono sotto la neve
cantano sotto la neve
hanno la neve in bocca
maledetti

E sotto la neve c’è il salice
e sotto il salice c’era la casa
e sotto la polvere ci sono anch’io
e sono sepolta, va’, dillo a tutti

Ho lasciato la chiave nella tasca
del grembiule, guarda, dentro
si vede l’inchiostro
e dentro l’inchiostro 
si vedono i corvi, neri, neri.

Volteggiano i corvi, neri neri
volteggiano in cielo, e giù
come angeli in terra, qui, sulla terra
dove fionda la notte, fionda.

Federico Preziosi