Donne-moi ta main sans retour, eau incertaine  

Que j’ai désempierrée jour après jour  

Des rêves qui s’attardent dans la lumière.  

Et du mauvais désir de l’infini.  

Que le bien de la source ne cesse pas  

À l’instant où la source est retrouvée,  

Que les lointains ne se séparent pas  

Une nouvelle fois du proche, sous la faux 

De l’eau non plus tarie mais sans saveur.  

Donne-moi ta main et précède-moi dans l’été mortel  

Avec ce bruit de lumière changée,  

Dissipe-toi me dissipant dans la lumière.  

(Deux barques) 

 

Dammi senza ritorno la tua mano, acqua incerta  

Che giorno dopo giorno avrò disimpietrata  

Dai sogni nella luce che indugiano  

e dal malvagio desiderio d’infinito.  

Che il bene della fonte non si perda  

Nell’istante in cui la fonte è ritrovata,  

E non si dividano ancor una volta  

Le lontananze dall’accanto, sotto la falce  

Dell’acqua non prosciugata, no, però insapore.  

Dammi la mano, precedimi nell’estate mortale  

Con questo rumore di luce mutata,  

Annienta te stessa me annientando, in luce.  

(Due barche)  

trad. Diana Grange Fiori  

 

Sia il linguaggio – non idealmente, concretamente – un fiume di acqua chiara dove le cose si riflettono intatte. In questo corso semplice la poesia non crede: sembra che in esso nulla nasca, muoia, si consumi. È con intenzione che non si nomina il poeta, perché a Bonnefoy interessa restare sulla soglia tra essere e non essere, assistere: il paesaggio è più grande di lui, l’opera di natura incessante e violenta, l’amore che lo unisce alla donna che appare nel poema come compagna, voce che gli parla, corpo che lui cerca, lo disseta molto di più della sua sete. A volte il mondo è così carico di senso che sembra vicino a disintegrare nel nulla, travolgere chi guarda. Un poema occorre al modo per dargli forma, setacciare l’infinito, travasarlo in pozza breve.

Chi scrive va su una barca in pieno sole, nudo, pura volontà di essere senza riparo. Solo quando si trova sul punto di accecare, decide e sceglie una luce fingendo notte intorno, precipita un senso soltanto. Prima guidava la sua barca lungo il fiume chiaro. Ora pur essendo ancora sopra, non sbaragliato, non ne impugna più il timone. È un passeur, un ‘passatore’ in preda alla sua mortalità come a un ritornello malato, canto di fame insaziata. Forse perché compie il suo lento viaggio per tutti gli arresi prima della soglia (Pousse ta barque pour nous / Dans la matière). E la poesia di cui è capace è una pertica che si conficca con forza sul fondale, scava, muove l’acqua chiara. Grumo di morte che intorbida per la trasparenza, per poterla sfiorare con le labbra. Proprio da quel cuore di tenebra del fiume nasce la parola nulla, che accoglie, quanto può si svuota, alle cose va somigliando. Parola-spossessamento, parola-rinuncia, parola-orlo prima del precipizio del senso. La traduzione della Grange Fiori è manchevole, la sua presenza più tangibile dell’autore dentro il suo poema. Chi si confronta con Bonnefoy se vuole ricrearlo in italiano deve attingere come lui da una lingua semplice ma imprevedibile, che sogna.  

Nell’insidia della soglia è l’invenzione di una notte assoluta, più buia del buio, perché solo la luce giunta al culmine d’assenza è pronta a riversarsi in fulgore. Una piccola cosmogonia portatile che tenta di afferrare il mondo che ci sogna, appunto. Nessuno sa quale posto occupiamo sulle sue rive, nelle sue acque, nei suoi gorghi oscuri. Forse siamo seduti al desco della nostalgia, e ci consuma il desiderio di essere anche noi elementi di natura, senza coscienza no, ma col dolore e la gioia di fuori, che il vento sbaraglia. L’oblio è necessario al desiderio, che il corpo ci scordi all’apice d’amore, questo chiede il poema di chi vuole ascoltare la voce del dio, tuonante sulla soglia tra l’io e l’altro (Est-ce un autrelappel qui me répond, / Ou moi encore?). Dove il dire è rumore, freccia scagliata contro il duro di un mistero che non parla, interroga ma non risponde (le fond du fleuve est, lequel se perdra, / Qui peut espérer, qui promettre?). Ma è proprio al colmo del rumore che la luce cambia, e alla visione del nulla, dell’impossédablelascia un raccolto: il grano maturo è sul tavolo, offerto, anche nell’incertezza del campo ancora acerbo sotto cicli di sole velato e notti senza stelle.  

Solo la scrittura come violenza fiorisce, e se il poema si ostina a chiamare sogno il suo sguardo di pertica che sfonda, è solo “per il riposo delle parole ferite”.  

Monica Pavani

 

Dopo aver compiuto studi di matematica e filosofia, Bonnefoy entrò in contatto a Parigi con il gruppo dei surrealisti. Ha preso poi al Collège de France la successione di Valéry, con la cattedra di “Études comparées de la fonction poétique”. Ha consegnato la sua la sua ricca e profonda creazione poetica in raccolte che attestano tutte un’intensa tensione speculativa, morale e formale: Du mouvement et de l’immobilité de Douve (1953), Hier régnant désert (1958), Pierre écrite (1965), Dans le leurre du seuil (1975), Ce qui fut sans lumière (1987), Début et fin de la neige (1991), L’encore aveugle (1997), La pluie d’été (1999), Les planches courbes (2001). Sono testi densi, in cui nell’angoscia di non poter mai giungere alla conoscenza intellettuale della realtà, il poeta afferma la speranza o la fede che al linguaggio poetico sia concesso di giungere almeno al “suono del colore in ciò che è”, di rinnovare “l’offerta della bellezza nella verità”. Lucide riflessioni sulla natura della poesia si leggono nelle raccolte saggistiche L’improbable (1959), L’arrière-pays (1972), Entretiens sur la poésie (1981), Sous l’horizon du langage (2002), L’imaginaire métaphysique (2006). Sono da segnalare anche le qualità del critico delle arti figurative che emergono in diversi testi tra i quali: Peintures murales de la France gothique (1954), Un rêve fait à Mantoue (1967), Rome 1630: l’horizon du premier baroque (1970), Alberto Giacometti (1991), Dessincouleur et lumière (1995), Lieux et destins de l’image (1999), Remarques sur le regard (2002), Goya: les peintures noires (2006). Da ricordare infine le traduzioni di Shakespeare, John Donne, Keats e le illuminanti pagine su Rimbaud (1961), Baudelaire (2000), Breton (2001). Importante è l’opera di B. “italianista” con le sue traduzioni e interpretazioni di Leopardi (2001) e di Petrarca (Pétrarque e l’Europe, 2006). 

Carlo Maria Ossola (dal sito treccani.it) 

E tuttavia – Bevi, tu dici,
Al Senso
Che sogna.”

Il libro nel 1998

Yves Bonnefoy
Nell’insidia della soglia
Einaudi, 1990
Collana: Collezione di poesia
A cura di D. Grange Fiori
IV-119 p., brossura

Il libro attualmente è fuori catalogo

 

 

Sulla poesia e sui poeti c’è un’intera rubrica.