Tutto nasce da un viaggio. Il protagonista, Mario, parte da Parigi per raggiungere a Roma il padre, che non vede da molti anni, essendo stato allevato da uno zio. Ha vent’anni, non lavora e accetta ogni opportunità che la vita gli offre, in virtù di quella dote che lui chiama disponibilità. È la parola chiave di questo romanzo di Alberto Moravia. La stessa disponibilità che gli consente di prestarsi al gioco dei ricordi, provando a rivivere una scena vista in infanzia. La mamma che lo guarda mentre fa l’amore con un uomo biondo che non è il padre. Tale immagine diventa un’ossessione, che gli impedisce altre storie.
“Guardavo Alda soprattutto per carpire nei suoi occhi quello sguardo misteriosamente evocativo, allo stessissimo modo col quale un innamorato cerca negli occhi di altre donne l’espressione che appartiene alla donna che ama e soltanto a lei.”
Esmeralda, Alda e Dina: tre donne diverse, eppure così uguali, come sembra indicare il destino legato ai loro nomi. E sono tutte femminili le figure importanti di questa storia: quelle che intervengono nella vicenda romana e la madre di Mario, morta anni addietro ma fortemente presente. Il padre, invece, è un personaggio quasi comico, grottesco. ‘‘Possibile che quel largo volto, chiazzato di rosso, dalla fronte vasta e squallida, dalle folte sopracciglia inarcate su occhi sbarrati come per un perpetuo sgomento, dal naso lungo e triste, dalla bocca tortuosa, quel volto, insomma, di vecchio clown, fosse quello dell’uomo che dovevo considerare mio padre?”
Difficile da accettare per uno che si sente un poeta, pur senza aver mai scritto una poesia. Le poesie che avrebbe voluto scrivere Mario le ha già scritte, per lui, Apollinaire. E un altro dei tratti del carattere di quello strano personaggio che è Mario, reso un po’ più familiare al lettore dalla narrazione in prima persona, una costante in Moravia.
Il viaggio a Roma è una bella storia: niente di eccezionale dal punto di vista stilistico, nessun accento lirico, ma per Moravia questo è un complimento, visto che tra i suoi obiettivi c’è sempre stato quello della leggibilità per un pubblico ampio, popolare. Quello che colpisce in questo romanzo, invece, è la forza dell’intreccio, i fatti si succedono senza pause, malgrado l’attenzione per l’introspezione psicologica. È una lettura che prende, senza mai annoiare; e quando ci si accorge che stanno per finire le pagine non si può fare a meno di rallentare il ritmo, leggendo e rileggendo, in modo da non abbandonare troppo presto Mario, Jeanne, Alda e gli altri personaggi del romanzo. A Moravia non manca certo una spiccata vocazione narrativa, interiorizzata forse già da bambino, quando, costretto in un sanatorio, passava il tempo a leggere i classici.
Un ruolo importante nella storia lo gioca, come al solito, il sesso. Alcuni romanzi di Moravia furono messi all’Indice dalle autorità ecclesiastiche nel 1952. Ma il sesso, pure sempre sganciato da ogni parvenza di amore, appare come una residua certezza, l’ultima arma a disposizione per recuperare il rapporto con gli altri. Ognuno ha le sue stranezze, e le abitudini sessuali di Mario, almeno durante il suo viaggio a Roma, sono tutte legate ai ricordi infantili. Il sesso serve, sembra dire Moravia, a recuperare una naturalità primordiale, svincolata dalle convenzioni della società borghese. E non manca, ne Il viaggio a Roma, la consueta critica al tradizionale modello familiare, qui sistematicamente dissolto.
Roberto Tucci
“… questa era la vita di famiglia… : stare insieme, non dirsi mai nulla di importante, comunicare un po’ alla maniera degli animali, con gli occhi, con gli atteggiamenti, col tono della voce.”
In libreria
Alberto Moravia
Il viaggio a Roma
Bompiani, 2000
Collana: I Grandi Tascabili
240 p., brossura
€ 9,73
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Tutto su Moravia: https://it.wikipedia.org/wiki/Alberto_Moravia