Attraversare La nostalgia che avremo di noi, la raccolta di racconti, esordio di Anna Voltaggio edita da Neri Pozza, lavoro disincantato e fotografia di una generazione persa tra ricordi primordiali, esistenze duali, desideri e mancanze, vuol dire fare un viaggio letterario bellissimo.

Lucilla, Clara, Leòn, Nina, Vita, Arturo, Lorenzo, Penelope, Ulisse, Verla, Iole, Tommaso e Cartesio danno vita a storie incentrate sul desiderio (etimologia ben nota, de-sidera, la mancanza delle stelle) e al contempo sul senso della mancanza che cercano di appagare, ciascuno con i propri sistemi e le proprie corazze.

Luccicano tra le storie i temi del doppio e della bidimensionalità, quelli della memoria e delle scelte, quelli del rifugiarsi nelle dimensioni nascoste e idealizzate. Un affresco di nodi (molti dei personaggi sono legati tra loro, in qualche modo) e di errori che con una voce elegante e precisa, Voltaggio consegna alle lettrici e ai lettori più esigenti.

Clara apre il ciclo delle tredici storie e Cartesio le chiude: uno dei primi lavori che hai scritto e che era già uscito per Minima&Moralia…

“Ho iniziato a scrivere i racconti sul finire della pandemia, nel 2021 e li ho terminati nel 2022. Clara apre le storie, immersa in un sentimento opaco, da cui spera di trarre forza, di sentirsi amata.

Cartesio ha una vita molto ordinaria che non vuole mettere in discussione, però poi è la vita stessa che scompagina quell’ordine prestabilito e si ritrova in una situazione di gioco d’azzardo. Perché a prescindere dai desideri e dalle intenzioni che muovono  un po’ tutti i personaggi, la vita che ci si presenta davanti mette in gioco chi siamo”.

Come dice Julio Cortázar nei racconti si ha “la fugacità nella permanenza” ed è una sensazione che si ritrova nitida, in questa raccolta e nel tuo modo di scrivere. Quando hai iniziato a scrivere quanto ti “fidavi” della forma breve e quanto conta per te a livello letterario la formula del racconto.

“Nei miei tentativi di scrittura che ci sono stati per anni a un certo punto avevo “collezionato” una serie di incipit e fiutavo che non riuscivo a tenere il lungo passo di una storia, un romanzo: mi perdevo in quella struttura. 

Ho capito che le mie storie dovevano avere però una conclusione: ed è stato come una illuminazione, nonostante io sia sempre stata una lettrice di racconti che mi restano impressi in modo diverso, dritti. L’intensità della lettura breve la ricevevo come lettrice e ho pensato che fosse anche la mia strada da autrice. Mi sono sentita a mio agio in questa forma e le cose che volevo scrivere, le scrivevo, fluide. Sentivo quindi un senso di compimento: era come se riuscissi a fare esattamente quello che volevo fare. E le storie di questo libro nascevano in modo molto collegato: uniforme è l’atmosfera e la voce interiore che io cercavo nei personaggi e per questa ragione, i racconti “si parlano”. Avveniva naturale che quando raccontavo un personaggio, quelli comprimari iniziavano a muoversi e tornavano come protagonisti, nei racconti successivi. Alcuni personaggi ritornano più forti, perché è come se questo mondo interiore, questo mondo altro, che per me non è meno reale e potente del quotidiano, possa essere dominante. E la loro solitudine è calda non cupa. Anzi, cerca la comunicazione con gli altri”.

I personaggi dei racconti sono adulti, sette femminili e sei maschili, hanno delle corazze, dei filtri che attivano nelle loro vite e nelle loro scelte…

“Le corazze di questi protagonisti  sono scalfite, rotte. E forse anche per questo i racconti venivano fuori come le tessere di un mosaico. Racconto una fascia d’età che abbraccia un arco che va dai quaranta ai cinquanta, cinquantacinque anni. Donne e uomini di una generazione che ha già ricevuto delle ferite e delle disillusioni e i cui “attori” si sono scontrati con le cose che la vita – insieme alla parte bella e positiva – ti infligge. Vale per tutti e definisce il grado di difesa e di reazione. Per me è stato logico narrare di questa generazione perché ne faccio parte e ho scritto di ciò che conosco e attraverso, con le differenze che tutti abbiamo ovviamente”.

Leggere i racconti è stato come accendere un fiammifero sulle vite dei protagonisti e attraversare con loro la storia, pervasi dalla curiosità dell’epilogo. Hai scelto per questo la prima persona come forma eletta,  salvo qualche racconto in terza…

“Ho lavorato in due direzioni: sicuramente per me era fondamentale il ritmo, poiché è essenziale lavorando in una forma breve e ho preferito la prima persona. Quando ho ri-lavorato al testo – con un microediting a dire il vero –  ho cercato di concentrarmi molto sulle parole per tenere il passo della narrazione.

Credo che il coinvolgimento della voce dipenda dal mio approccio da autrice: che è empatico, mai giudicante. Mi sono messa a guardare le cose con il loro sguardo. Ho tolto ogni giudizio e ho usato più che altro la compassione per i miei personaggi”.

Un altro elemento potente a cui ricorri nella scrittura è il simbolismo. Molti simboli sembrano avere il ruolo di un punto definito su una mappa, ci riportano collegamenti e fanno entrate le lettrici e i lettori nel profondo delle storie: penso alla statua della santa, ai pappagalli verdi, alle scritte sulle magliette…

“Avevo poco spazio appunto per comunicare i mondi segreti dei personaggi e le loro vite interiori, per cui, ho dovuto ricorrere a correlativi oggettivi, a tutta una serie di simboli che potevano aprire dei concetti e condurre al senso che cercavo di dare, illuminando un breve momento della loro vita, che era importante. E sono felice per tutti i simboli che sono stati rintracciati e custoditi, incastonati nel mosaico delle storie”.

Tredici storie una diversa dall’altra, ma in connessione. Ciascuna ha come titolo il nome della protagonista o del protagonista. C’è una storia di una donna che preferisci? E quella di un uomo?

“Per me è sempre difficile riuscire a stabilire “i preferiti”, probabilmente perché ho compartecipato alle loro vite, le ho avute intorno per diverso tempo e in qualche modo sono legata a tutte e  a tutti. Poi ci sono dei personaggi con cui sento un legame più stretto con la mia vita: per esempio con “Vita”. Condivido con lei un dolore che entrambe abbiamo affrontato e che io ho vissuto e al quale lei, nel racconto, sta andando incontro. Vita sta andando a Trieste, per raggiungere il padre che sta per morire. Tra i personaggi maschili il mio preferito è Arturo. Che forse ha un senso dell’ironia più evidente rispetto agli altri, ha una sua consapevolezza, si prende sul serio fino a un certo punto e vive un amore che è finito ma che continua a essere presente dentro di lui e questo non muterà nulla delle scelte della sua vita (il matrimonio). È un personaggio che mi interessava molto e a cui sono molto legata proprio perché è come se accettasse di vivere il suo mondo reale, senza negare il suo mondo interiore, anzi amandoli entrambi con grande cognizione. Tra le narrazioni al femminile e al maschile mi interessava di essere il più equilibrata possibile e per questo ho spesso dato la prima persona ai personaggi maschili: mi premeva calarmi nel pensiero di un uomo e provare a guardare le cose dal suo punto di vista”.

Nei racconti emergono tante sfumature esistenziali: “da dove vengo io si mantiene uno spazio vuoto tra le persone, gli sconosciuti non si avvicinano e la gentilezza è una forma di distanza, è utile a sottendere confini…”. Quanto hai voluto raccontare nelle tue storie dei confini nelle relazioni. E i vuoti.

“I miei personaggi non fanno che cercare un momento di libertà in una deviazione della loro vita, che si potrebbe pure definire un errore, quindi magari travalicano dei confini, ma sapendo di andare a finire in un vicolo cieco. Non pensano di cambiare, stravolgere la loro vita: sono coscienti che il tempo dei cambiamenti è finito, non hanno più 25 anni, hanno una vita esatta intorno quindi, quello che cercano continuamente è un momento in cui possono sentirsi tutti interi, recuperando qualcosa di loro stessi che non hanno vissuto, perché hanno fatto delle scelte o si sono trovati a fare delle scelte diverse. Questo momento è fugace, è brevissimo: loro lo sanno e nonostante questo continuano a cercarlo. Quando Lorenzo lascia la moglie per la sua amante, nel racconto lei non si vede mai, è più che altro nella sua testa e rappresenta il desiderio più incontaminato.  I miei personaggi cercano la comunicazione costante e non sono in grado di averla in modo compiuto e lineare, proprio perché questa connessione di mondi interiori, un po’ in ombra, non è facile da trovare. E il desiderio che anima molti dei personaggi non è altro che la necessità di coprire un vuoto, deriva appunto da una mancanza. L’amore poi è una sostanza con cui ognuno di noi ha un rapporto individuale”.

“Anche se va tutto bene, la mia vita ha una mancanza”: citazione che ho letto e riletto…

“Esatto. Io lavoro su questa sensazione che hanno tutti i personaggi. Che non fanno che cercare di appagare quel senso di mancanza”.

Anna Voltaggio, di cosa ha nostalgia?

“Probabilmente ho nostalgia di qualcosa che ho solo intravisto di me nel passato che poi non ho effettivamente vissuto. Una strada che come dire,  stavo per prendere, alla quale poi ho rinunciato per seguirne un’altra. Ho nostalgia di quel momento in cui forse – a volte penso – avrei dovuto essere più coraggiosa”.

Intervista a cura di Antonella De Biasi