Numero 16 | Gennaio-Febbraio 1999

Questo Metallo urlante forse, di tutti i miei libri, quello che ritengo meglio riuscito. Va tenuto presente che, in linea di massima, sono poco portato a scrivere racconti. Quando inizio una storia breve, quasi subito si ingarbuglia, genera sviluppi imprevisti, produce sottostorie. Di conseguenza, la mia narrativa breve è pochissima: cinque racconti in tutto. Quattro di essi sono raccolti in questo volume.

Ma se lo ritengo riuscito è proprio perché, sotto le apparenze di un’antologia, si nasconde in realtà un romanzo. Ogni storia è connessa alle altre, e costituisce uno sviluppo nel tempo dei temi delle precedenti. Il primo racconto, poi, l’unico ad avere a protagonista quell’inquisitore Eymerich che mi ha dato notorietà, si prolunga in un finale che assicura la coerenza dell’insieme. Non era facile da fare, ma ci sono riuscito. Ne sono molto soddisfatto.

Veniamo alle quattro storie. Tutte si basano su un diverso gruppo di rock heavy metal scelto tra i miei preferiti: Venom, i fondatori del «black metal», odiato da tutti i morbosi censori del cosiddetto rock satanico; Metallica, quelli degli inizi, degni eredi del punk, non quelli che adesso propongono una fiacca musica da balera; Pantera, la band più rude e violenta, talora sublime, talaltra inascoltabile; Sepultura, il gruppo che ha dato al metal valenze politiche non ambigue e ha inneggiato al riscatto degli oppressi.

Chi conosce questo tipo di musica, troverà nei racconti precisi riferimenti ad album di queste band, o a singoli brani. In qualche caso, nel testo sono comprese citazioni dai versi di queste canzoni a cui mi sono ispirato. Tanto ben nascoste per poter essere colte dal pubblico avvertito, e ignorate da quello non esperto.

Tema comune di tutte le storie è il metallo, che si sostituisce alla carne fino a dar vita a un’umanità ibrida, le cui componenti metalliche dominano i pensieri, e, soprattutto, i sogni. Mentre il metallo avanza assistiamo infatti alla riapparizione di antiche divinità, che tornano a prendere possesso delle menti e dell’immaginario degli uomini. Si tratta degli dei primitivi custodi del metallo (cene sono un po’ in tutte le religioni), richiamati in vita dal fatto che la sostanza cui sono consacrati, mescolandosi alla carne, ha acquistato pensiero e intelligenza. E sogna i propri dei.

Quello che si profila da questo connubio è un universo gelido e folle, in cui sentimenti e morale si sono inariditi. Il risultato è che gli uomini non si riconoscono più tra loro come appartenenti a un’unica specie, dando vita a conflitti inesplicabili, in cui non è facile riconoscere quale sia la causa giusta. Metallica, storia di un conflitto razziale che non vede eroi da nessuna delle due parti, è l’esemplificazione più esplicita di questo quadro che mi preme trasmettere, tanto simile ad altri reali (chi ha ragione tra Hutu e Tutsi?).

Ma anche Sepultura, racconto della straordinaria evasione da un carcere tra i più orrendi mai concepiti, non vede buoni e cattivi facilmente distinguibili, perché entrambe le parti sono a modo loro immorali. Vede però una distinzione netta tra oppressi e oppressori; ma questa è legata più all’oggettività, che alla soggettività degli attori. Anche gli oppressi, in fondo, non coltivano più speranze. La loro fuga li condurrà a un finale grandioso, ma non a un successo. Quando tutti gli ideali si sono spenti, anche una morte memorabile può rappresentarne uno.

Per ritrovare confini morali occorre indietreggiare nel tempo. Nel suo Far West dominato dal fango materiale e spirituale, il pistolero Pantera, pur nella sua crudeltà e nel suo cinismo, è a proprio modo un idealista. Di fronte alla minaccia rappresentata da giganteschi fantasmi di cowboys, immobili sui loro cavalli, riesce a scoprire come questi siano la proiezione delle colpe di un’intera cittadina, e a raccogliere gli emarginati del villaggio per contrastare entrambe le mostruosità, quella fantastica e quella concreta. Ma si era ancora in tempi in cui i ruoli erano ben definiti, e anche un uomo cinico e duro sapeva in fondo da che parte stare.

Però, percorrendo all’indietro la china temporale, si arriva nella zona in cui passato remoto e futuro remoto si intrecciano. Qui ritroviamo Eymerich, idealista come Pantera, ma al servizio di cause ingiuste; nonché la descrizione dell’avvenire in cui il metallo ha preso il sopravvento, la sessualità (con la sua valenza di rapporto corporeo tra esseri umani) si è estinta, e demoni che non hanno origine dalla carne dominano la percezione del reale. È in questo intreccio tra sfere cronologiche diverse che viene distillato il Venom, il veleno che, sotto forma di virus, produrrà la tragedia; e viene distillato non dal caso, ma dall’azione cosciente di Eymerich, spinto a minare l’intera storia umana dalla sua radicale asocialità. Eymerich è dunque il sinistro demiurgo capace di valicare le barriere del tempo, imponendo anche alle generazioni successive il proprio gelo interiore quale unica legge.

Ho così ripercorso, sia pure a ritroso, la struttura di Metallo urlante, antologia-romanzo che è un po’ la materializzazione di tutte le mie angosce riguardanti il presente. Temo una società schizoide, in cui ciascuno si chiuda in se stesso e divenga incapace di riconoscere gli altri come propri simili. Temo la morte della carne e del sesso, sostituiti da penosi surrogati che negano affetto e contatto. Temo il riaffermarsi di ideologie barbariche fondate sulla differenza, sull’esclusione e sulla supremazia. Temo quasi tutto ciò che ho sotto gli occhi. Non potendo fare altro, cerco di esprimere i miei timori in forma di metafora, con storie amorali e ambigue, che nelle intenzioni vorrebbero suscitare inquietudine. Ogni tanto mi scontro con chi ritiene che la narrativa di genere non possa contenere alcun pensiero. In realtà ne contiene di tanto forti che il mainstream spesso non riesce nemmeno a sfiorare. Oppure mi imbatto in buffoni, come il critico di un giornale di estrema destra che ha definito i miei romanzi il trionfo del politically correct. Sfido costui a trovare la minima traccia di «buonismo» in ciò che scrivo. La mia sola bandiera è il perfido No future dei Sex Pistols. Politically correct sarà lui e sua nonna (da cui ha assorbito le proprie idee). Io le nonne le spavento. E mi diverto un mondo a farlo.

Anche se il mio riso suona un poco aspro.

Valerio Evangelisti

Il libro nel 1999

Valerio Evangelisti
Metallo Urlante
Einaudi, 1998
140 p., L. 14 000
 
 
 

In libreria

Metallo urlante di Valerio Evangelisti

Valerio Evangelisti
Metallo urlante
Einaudi, 2003
Collana: Einaudi. Stile libero
239 p., brossura
€ 11,00

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