La poesia civile rappresenta un terreno spesso scivoloso, sebbene molta della poesia pubblicata finisca per esserlo. In un certo senso questo tratto, il più delle volte involontario, riguarda anche Riccardo Magni, autore di Humanitas (Prometheus 2020), una silloge poetica che si interroga fortemente sulla condizione umana.

Il tema proposto appare, nel bene e nel male, sempre una necessità: a cosa serve l’arte se non a manifestare le sfumature di tutto ciò che possiamo ritenere umano? E cos’è l’umano oggi? Ciò che è proprio dell’uomo, si potrebbe rispondere, ossia tutto tutto quello che lo riguarda. Eppure all’umanità e all’umano si guarda sempre con accezione positiva malgrado il disumano che comunque imperversa nel mondo. Se notiamo bene sia l’umano sia il disumano sono paradossalmente espressioni dell’umanità, sebbene il secondo si ponga al di fuori del primo e dunque in netta antitesi.

In questa breve opera ci si occupa dell’umano, pertanto si intenda una poesia che cerca di elevare le caratteristiche proprie dell’uomo a partire dall’arte, che è, a parere dell’autore, imitazione della natura.

Musa, di mattina
(Proemio)

Musa che cammini nel giorno,
sei il pensiero nato
dai bagliori del cuore,
l’armonia che s’intreccia alla voce
e che inizia a correre sul ritmo
e le parole.
L’intelletto si snoda nell’arte,
il cuore vive e crea,
inventa e accompagna.
Il verso nasce da un sogno
o da un sorriso sbocciato
sulla panchina di una stazione,
nel primigenio silenzio dell’alba.
Musa, di mattina t’ho incontrata,
quando forse non t’aspettavo
quando la gente non pensava
e correva senza meta,
perdendo la propria strada;
ed è così che in una sera d’aprile,
nei glicini carezzati dal vento,
con le stelle nella mente
e il tuo volto nel cuore,
il mio pensiero prese la sua forma
nel senso del tuo nome.

Il proemio sintetizza e anticipa molto di quel che si esprime nel libro. Riccardo Magni mette in campo un verso pulito e riflessivo, denso di riferimenti classici, ma a proprio agio nell’espressione presente. Qui vengono formulate continue allusioni a situazioni comuni e quotidiane, parzialmente filtrate dalla propria biografia, senza mai perdere il legame con l’antico e il passato.
Il poeta è un osservatore, non vive di eroismi, ci racconta con la propria arte ciò che accade fuori filtrando il tutto attraverso il vissuto diretto e indiretto. Quello di Magni è un vero e proprio offrirsi alla poesia, laddove il corpo del poeta diventa residenza in cui avviene una vera e propria speculazione sul mondo.

Perché ciò ha a che fare con l’umano? L’ispirazione a cui la Musa si associa è parte fondamentale dell’agire laddove si intende cogliere una sfumatura che apparentemente sembra invisibile. L’umano è ricchezza di comportamenti, ragioni e scelte nelle quali spesso si intravede un segreto innervato nella vita di ognuno di noi. Non è un caso che il poeta, nei suoi versi, si appelli quell’armonia «che s’intreccia alla voce»: anche le brutture appaiono umane dunque, quando l’armonia rivela, talvolta con la propria ineffabilità, l’arcano. La rivelazione porta con sé lo stupore del poeta che, successivamente, attraverso la parola tenta di stabilire una sintonia con il lettore. Si percepisce da subito questo tentativo di comunicazione da parte di Riccardo Magni che in Humanitas non ama la parola oscura, senza tuttavia disdegnare le ombre che comunque restano proiezioni dovute a una sorgente di luce. Per affrontare meglio questo nodo, è utile soffermarsi su Le donne di Baghdad.


Le donne di Baghdad
camminano silenziose;
pregano a testa bassa
per le strade impolverate,
sotto il sole
che si leva abbagliante
sulle case bianche
ancora addormentate.
Le luci dell’alba

si insinuano senza far rumore
tra le colonne del tempio,
nei canti remoti
sussurrati negli anni.
E lì, sulla riva del fiume,
le donne di Baghdad
sciacquano i panni
nella corrente,
li appoggiano in ceste
di vimini per poi
stenderli al sole.
Un bambino, nella notte,
cerca gli occhi della madre.
La madre lo bacia
e lo abbraccia.
E i fuochi dell’imbrunire
sono naufragi
di uomini
che si spengono
nel silenzio.
Ma non temere, amore:
il sole
non spegnerà
i suoi raggi
alla fine della terra.

A parere di chi scrive, c’è una grande componente dell’umano anche nell’immedesimazione. Questo aspetto potrebbe apparire manierista e privo del vissuto necessario, pertanto incapace di offrire una parola rivelatrice. Riccardo Magni, invece, si fa voce di una questione cruciale: si entra nell’altro per compenetrarlo, per capirlo, anche con occhi esterni. Non si creano dei personaggi su misura che sappiano esprimere un dramma, piuttosto ci si immedesima nel dramma stesso cercando quel barlume, qui espresso nella bellissima chiusura della lirica, in grado di accendere la speranza nel domani. Del resto, come si può indagare l’umano in assenza di empatia? Humanitas è qui a ricordarci questo, della necessità di incontrarci nel dolore e nella gioia, nella contemplazione e nella riflessione, andare oltre se stessi per poi ritornarvi più ricchi, ma soprattutto, è il caso di dirlo, più umani.

Federico Preziosi