L’espressione “messa a dimora”, mutuata dal linguaggio botanico, indica la posa nel terreno di piantine coltivate. È il tempo magico stretto tra la dimensione aurorale del seme e la forma formata dell’adulto. Ma c’è altro. Il lettore che abbia familiarità col cammino poetico di Federico Preziosi riconoscerà in Messa a dimora (Controluna – Lepisma floema, a cura di Giuseppe Cerbino) il secondo pannello di un dittico o, per esprimerci in termini filosofici, il momento negativo della dialettica.

Guardiamo nel dettaglio. L’opera precedente, dal titolo Variazione Madre, era il poema della fusione del figlio con la madre, dell’identificazione con l’Altro rappresentato dal genere alter della femmina: “Divenni Figlio, Amore e infine Donna”, recita un verso nel testo incipitario di Variazione. L’uomo vuole capire la donna e, per farlo, ritorna allo stato di figlio al fine di unirsi alla madre: così avviene la congiunzione tra maschile e femminile, la dialettica degli opposti ha una sua risoluzione.

Ora, dal poema del figlio con la madre si passa al poema del figlio con se stesso: l’Uomo si conferma sul cammino dello spirito. Se prima dominava la dismisura, la hybris della creatura nel valicare il confine naturale per identificarsi col diverso, adesso passiamo alla stagione successiva: dappertutto spira la brezza di una filosofica epochè. Come ci sembra nella poesia intitolata “A malapena” in cui circola un’aria di sospesa cautela (p. 31):

Quel che abita un movimento in parole
sopra la veste a malapena detta
a malapena spoglia di lembi di pelle
a malapena Madre nel dar nome
al vuoto quando domanda chi sono.

Ricordiamo che epochè è parola greca che indica la sospensione del giudizio. Il senso nasce in seno alla filosofia scettica per estendersi poi alla fenomenologia di Husserl per cui il reale, la sua natura ontica, è messo momentaneamente tra parentesi. Fu infatti il filosofo tedesco a dire: “L’esperienza in sé non è scienza” (in Come funziona la filosofia) quasi a ritirarsi da un giudizio avventato su ciò che si sa solo perché si crede di sapere. Simile passo sembra fare Preziosi con questa seconda opera che, diversamente dai primordi lirici di Variazione madre (titolo dalla semantica musicale di un autore dalla formazione musicologica) adesso rientra in un hortus conclusus che è tutto della mente. Lo stile raggiunge un equilibrio e una quiete propri della maturità ma sempre e ancora in “variazione” perché non si conclude qui la ricerca. Ed è in questi termini che si sottolinea il passaggio alla successiva stagione o, per dirla con le parole della filosofia di Nietzsche, dal dionisiaco all’apollineo: dal magma confuso delle origini esce il lingotto forgiato di misura. Questo passaggio traspare dal secondo testo della raccolta dal titolo “Parole straniere” (p. 22):

Avevo in bocca parole straniere
– parole che ai più restano ignote,
automatismi, certo, ma pur sempre
parole sconosciute.
Ho imparato a zittire i miei versi
come si fa coi gemiti
delle eiaculazioni, la seconda,
la terza volta fino a silenziare
il bisogno d’amare.
Il resto è stato sangue
e dello stesso fluire di una pioggia
sull’acqua, di uno stesso ingoiare.
La prima volta che ho fatto l’amore
dopo di te non era più amore.

A chi si riferisca il poeta non è dato sapere, a chi siano riferiti i termini “eiaculazione”, “amore”, non è noto. Stiamo, però, sulla soglia tra la prima e la seconda raccolta, tra il sangue delle origini e le membra formate di un corpo nuovo. A proposito del quale, possiamo fare un’altra notazione e stavolta, a farci da guida nel buio delle ipotesi, saranno le citazioni sparse qua e là nel volume che, a mo’ di lampade, ci guidano a ricercare un senso.

Tra le varie citazioni a esergo ben due volte sono estratte dall’opera di Sofocle. La prima viene dall’Edipo re e suona così: 

Questo giorno ti sarà radice, poi disgregazione.

La seconda, più articolata ed estratta dalla stessa opera sofoclea, dice:

La vita è preda di coincidenze. Presagio illuminato non esiste. Meglio non avere scopi, vivere come t’è dato.
Non farti ossessioni dell’amore con tua madre.
L’hanno già fatto in tanti, l’amore con la madre, dentro i sogni. Cose sciocche. Chi non ci fa caso, vive meglio, più leggero.

I riferimenti (rispettivamente a p. 19 e a p. 35 del volume) sono chiari: è il tema dell’incesto con la madre, affrontato dall’autore tragico prima e, in età contemporanea da Sigmund Freud, a scortarci nel capire il cammino. A proposito di ciò, lampante è il riferimento psicoanalitico della seconda sezione già dal titolo di “Edipo figlio”. Vi è dunque una ricerca tutta interiore, un ulissismo intellettuale che ostenta il marchio di un Edipo letterariamente riuscito perché non esibito. A questo riguardo, l’autore che volge altrove il capo dal rischio dell’incesto, si volge ad altre figure, nominate “Fratellini” (questo il titolo della poesia a p. 49), dove c’è un non ben precisato “Padre” e una ignota “Lei”:

Fratellini, stanotte dovete tacere la sete.
Torcete uno sguardo al pallido Padre
e accorrete alla veglia di un fronte slabbrato.
Lasciate che stringa le vostre piccole mani,
e porterete via con voi la resa iniziatica.
A voi e nessun altro ripongo lo screzio dei salmi,
il ludico sagrato che Lei, protettiva,
intonava recisa ai suoi fiori.
A voi soltanto rimetto un simulacro empio
di strade sterrate: arriverà il giorno
in cui interrogherete la polvere.
Lì troverete i miei passi,
il sudario fraterno di un abbraccio.

È il senso di una fratellanza che traspira in questi versi, il sentirsi congiunto a un destino che promette anche dolori perché scortati da una memoria amata fin quando diverremo ombra.

Altri esempi possono darsi per chiarire il concetto di misura, come questa lirica, assai breve in cui l’ansia visionaria si concentra entro il metro sicuro di una mano che scrive geometrie (p. 46):

Prima di andare
hai lasciato del liofilo
fiore d’areola in confezioni
da 100mg sul comò.
Nutre il dosaggio e non sfama
la stanza di adesso, un vuoto
nel grembo. 

Misura, certo, sin dall’emblematico titolo “100 mg”. Ma come ritorna la parola chiave! Quel “grembo” a chiusura di testo ci riporta alla raccolta precedente. Ma anche a questa. Infatti, se Variazione Madre segnava il senso dell’attaccamento fino alla confusione di corpi e coscienze, questa rappresenta il momento del distacco ma in relazione dialettica (come già detto) col primo tempo. La “messa a dimora”, malgrado l’uso di un participio passato che indicherebbe un atto compiuto, in realtà resta in attesa, ancora gioca con la “variazione” che dava voce alla prima raccolta. Vi è, dunque, una teleologia in atto. A ciò il poeta sembra strizzare continuamente l’occhio, ad esempio nella citazione a esergo della terza e ultima sezione dal titolo “Un sussulto di falesie” tratta da Nanni Cagnone: “i dolori delle cose sono madri” (in Il popolo delle cose), quasi a dire che dalla crisi (dialettica!) qualcosa nasce, con dolore avviene il parto. Sempre in riferimento alle madri è la seconda citazione in coppia con la precedente tratta da Dario Bellezza: “lontano dal tuo corpo di madre: / tuo incerto sostituto” (in Invettive e licenze). Entrambe le citazioni (a p. 63 del volume) realizzano il ponte prospettico che idealmente congiunge opera prima e opera seconda, tesi e antitesi di un cammino filosofico che letterariamente qui ha il momento negativo nel senso di un momento nuovo, generatore di nuovo materiale e nuova vita.

Questo è il dono che Federico Preziosi ci fa con la sua nuova opera poetica ed è certo che la sua fucina poetica abbia in serbo un terzo tempo. Leggiamo dunque attentamente Messa a dimora: nei suoi semi è velata una prosecuzione.

Infine si asciuga la terra.
Seccato il nuovo solco dormiranno
nella messa a dimora le radici.
Fittoni o fascicoli, non importa:
altri mali si ricordano
in un lessico da cui liberarsi,
lo stretto necessario da un meno che parla.

Fabio Barissano