La maternità desiderata, ricercata, respinta. La maternità inseguita e poi messa in dubbio, negata, contratta nello spazio legislativo di un affidamento a metà, quella sbandierata, quella nascosta.
Non esiste condizione al mondo capace di generare più amore e conflitto al contempo, radice spesso unica e sola di molte storie, genesi di narrazione. Il pensiero occidentale ha il suo incipit in una maternità non ricercata, ma accolta come atto divino dal quale si originerà un patto tra Dio e l’uomo.
Quando scrivo (e soprattutto quando leggo) mi soffermo sempre su quanto dei desideri del protagonista siano generati dal rapporto con la figura materna, che sia un romanzo russo o l’autobiografia di King, tutto prende le mosse da lì, da quel legame di sangue identitario, da quel vincolo emotivo non replicabile, al quale spesso tantissimo è sacrificato. Soprattutto ricercandolo.
Ho letto molti libri che hanno come tema proprio quello della ricerca della maternità, come se il sottotesto dello stesso sia in realtà la ricerca della felicità. Di quell’eredità da lasciare al mondo per non scomparire.
Così s’intitola il romanzo di Chiara Laudani, che nella storia scelta per il suo esordio narrativo, mette proprio al centro di tutto il desiderio che sempre di più accomuna le donne dai trentacinque in su, quello di essere madri. Per non scomparire, edito da Scritturapura, è un romanzo che ho moderato con piacere qualche settimana fa a Torino, facendo la conoscenza di quella persona interessantissima che è Chiara Laudani, affabile nei modi, generosa nello svelare un po’ dei trucchi del mestiere, lei che per lavoro scrive in ambito televisivo sulla serialità, sul lungometraggio, sul documentario. Questo è il suo primo romanzo e assecondando l’introduzione di ogni corso di scrittura creativa da ripeter come fosse un mantra – inizia a scrivere partendo da quello che conosci molto bene – decide di fare della sua protagonista la sua alter ego, facendole fare lo stesso lavoro che fa lei.
Anna è una sceneggiatrice romana che vuole a tutti i costi un figlio ma che per l’età non è più in grado di averlo utilizzando ovociti suoi, l’unica strada da percorrere è quella della fecondazione assistita con un ovocita di una donna più giovane. Una condizione che accomuna molte quarantenni per le quali l’opzione madre è ricorrere a materiale genetico non proprio perché l’orologio fa tic tac e il tempo non si può fermare.
Ricorrere ad una donatrice estranea alla sua famiglia è però un percorso impraticabile per Anna, che vuole geni nei quali si riconosca. Le viene quindi in mente di chiedere l’ovocita a sua nipote Fulvia che ha solo diciassette anni, vive ad Hong Kong ed è alle prese con tutte quante le complicazioni di un’adolescenza che passa attraverso trasferimenti continui, la ricerca di amiche e di una identità che la faccia sentire meno sola.
Non esiterei a regalare questo libro ad una delle mie tante amiche che hanno valutato l’opzione di una fecondazione assistita, con o senza esito, per l’intelligenza con la quale viene trattata questa storia. Le vicende raccontate a mezzo di due narratori, uno interno e uno esterno e onnisciente, si snodano con leggerezza e profondità tra tre paesi, Italia, Cina e India (Anna ha una sorella adottiva che viene da lì) ognuno dei quali è lo scenario che muove rapporti familiari complessi, situazioni sentimentali e retaggi culturali unici.
Viviamo in una sorta di paese scatola che contiene e stordisce, abbagliati da un passato affatto glorioso convinti che la nostra cultura, il nostro cibo, la nostra musica siano moneta spendibile in tutto il mondo. Come vecchi che escono di casa dopo anni di isolamento e trovano farsesco tutto ciò che non gli assomiglia.
Questo romanzo fa i conti con quello che siamo e che vorremmo o non vorremmo essere, con i nostri limiti dati dall’unica certezza che in fondo abbiamo, lo scorrere ineluttabile del tempo.
Intorno a lei, tante tantissime donne belle; anche rifatte, ritoccate, grottesche, restano comunque belle. Così profondamente mutate nella carne da diventare altro, la rappresentazione stessa del desiderio di non invecchiare; bambine che non ci stanno a che il gioco sia già finito, non accorgendosi che ogni colpo di bisturi, ogni ago nella cute attribuisce potere agli uomini, il potere del giudizio e dell’esclusione. La licenza, per l’ennesima volta, a costruire il palco per la premiazione in cui i maschi, spesso, hanno il ruolo di chi assegna le medaglie.
Il ticchettio di un orologio che scandisce le vite, accresce le rughe, aumenta o diminuisce la possibilità di riproduzione, muta i desideri, asseconda le scelte.
Angela Vecchione
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