Uno spazio per la poesia civile 
Prima parte: le premesse

Il 24 febbraio 2022 la Russia invade l’Ucraina. È uno shock. In pochissime ore crollano definitivamente le nostre certezze sugli equilibri internazionali e le reazioni impazzano sui vari organi di stampa e sui social network. C’è rabbia, frustrazione, incredulità. Dopo due anni di covid sembrava si potesse tornare a respirare e recuperare un barlume di normalità. Invece, nella pacifica Europa, siamo sprofondati in incubo peggiore.

A questo drammatico evento, come tutti gli eventi che sconvolgono il senso comune, si è risposto con un dibattito surreale, del tutto fuorviante. L’impressione data è stata quella di non voler parlare attraverso dei parametri realisti. Si è preferito, invece, concentrarsi su delle ipotetiche teorie tendenti a giustificare l’una o l’altra parte, non ad articolare riflessioni volte a comprendere il fenomeno nella propria interezza.

In seguito a un iniziale scoramento dovuto alla polarizzazione dei temi armi-non armi, Usa-Russia, PromesseNonMantenute-DifesaDelTerritorio, ho trovato un po’ di conforto su YouTube grazie a delle voci realmente alternative che hanno cercato di offrire una panoramica ben più articolata ed esaustiva rispetto alle posizioni delle solite comparse televisive. Questi canali, a volte anche nei propri limiti e inesattezze (non meno gravi delle testate giornalistiche, a onor del vero), stanno costituendo un punto di riferimento importante per me, attraverso un’opera di documentazione ben più precisa, ospitando dei personaggi maggiormente consapevoli circa le problematiche da affrontare. Ne segnalo alcuni: Parabellum di Mirko Campochiari sulle strategie militari e la verifica delle informazioni sul fronte di guerra; il canale dello storico Aldo GiannuliNova Lectio di Simone Guida; La Biblioteca di Alessandria di Gioele Sasso; LiberiOltre dell’economista Michele Boldrin; Daily Cogito del filosofo, autore ed esperto di comunicazione Rick Dufer; La Miniera condotta dallo streamer Ivan Grieco; Mappa Mundi, il programma di approfondimento della rivista Limes, a cura di Alfonso Desiderio.

Queste trasmissioni mi hanno aperto gli occhi sulle potenzialità offerte da YouTube come mezzo utile per l’approfondimento delle notizie in streaming. A pensarci bene in minima parte c’ero già dentro prima in questo mondo in qualità di divulgatore della poesia, attraverso la trasmissione, La parola da casa, che conduco insieme al critico Giuseppe Cerbino principalmente su Facebook per conto della Comunità Poetica Versipelle. Utilizzavo YouTube in maniera passiva, come archivio delle oltre 60 puntate trasmesse dal 2020 a oggi, in modo da tenerle sempre a portata di mano e disponibili per chiunque senza dover passare per il marasma di Facebook, utilissimo per i contenuti freschi e per interagire con la nostra community, ma meno organizzato dal punto di vista della catalogazione degli eventi in streaming. 

Nella mia mente ha cominciato a farsi largo un’idea che intendeva rispondere a un’esigenza: come portare il mondo della poesia a discutere sul tema della guerra, possibilmente senza ridurla a una litania o a un mero tributo per la pace? Sia chiaro, gli appelli rivolti al cessare delle ostilità sono condivisibili, ciò che non sono mai riuscito a sentire davvero mio è la retorica irrealistica e moralista sulla guerra e le sue cause. Non si può tentare di avviare una riflessione sull’umano quando si mettono davanti le nostre convinzioni al cospetto della spietatezza degli eventi. Mi ritornano in mente le parole di Curzio Malaparte in quel romanzo straordinario che porta il titolo de La pelle

«I popoli d’Europa, prima della liberazione, soffrivano con meravigliosa dignità. Lottavano a fronte alta. Lottavano per non morire. E gli uomini, quando lottano per non morire, si aggrappano con la forza della disperazione a tutto ciò che costituisce la parte viva, eterna, della vita umana, l’essenza, l’elemento più nobile e più puro della vita: la dignità, la fierezza, la libertà della propria coscienza. Lottano per salvare la propria anima.

Ma dopo la liberazione gli uomini avevano dovuto lottare per vivere. È una cosa umiliante, orribile, è una necessità vergognosa, lottare per vivere. Soltanto per vivere. Soltanto per salvare la propria pelle. Non è più la lotta contro la schiavitù, la lotta per la libertà, per la dignità umana, per l’onore. È la lotta contro la fame. È la lotta per il tozzo di pane, per un po’ di fuoco, per uno straccio con cui coprire i propri bambini, per un po’ di paglia su cui stendersi. Quando gli uomini lottano per vivere, tutto, anche un barattolo vuoto, una cicca, una scorza d’arancia, una crosta di pan secco raccattata nelle immondizie, un osso spolpato, tutto ha per loro un valore enorme, decisivo. Gli uomini son capaci di qualunque vigliaccheria, per vivere: di tutte le infamie, di tutti i delitti, per vivere. Per un tozzo di pane ciascuno di noi è pronto a vendere la propria moglie, le proprie figlie, a insozzare la propria madre, a vendere i fratelli e gli amici, a prostituirsi a un altro uomo. È pronto a inginocchiarsi, a strisciare per terra, a leccare le scarpe di chi può sfamarlo, a piegare la schiena sotto la frusta, ad asciugarsi sorridendo la guancia sporca di sputo: ed ha un sorriso umile, dolce, uno sguardo pieno di speranza famelica, bestiale, una speranza meravigliosa».

Questo passo costituisce per me un monito sul passato, sul presente e su ciò che potrebbe essere un futuro che, incrociando i rischi di un conflitto nucleare, potrebbe assumere declinazioni ancora più drammatiche, per non dire apocalittiche.

Ci sono stati, inoltre, due elementi che mi hanno ispirato culturalmente. In primis la splendida intervista che il poeta Umberto Piersanti ha rilasciato a Giovanna Rosadini per la rivista Atelier in occasione della ripubblicazione de I luoghi persi, in una nuova edizione per Crocetti. 

Piersanti, al pari di alcuni contemporanei, ha denunciato l’assenza della coscienza poetica nel dibattito pubblico. E in effetti i poeti vengono arruolati dai media in genere per esporre gli aspetti più zuccherosi e piacevoli della vita umana. Forse solo Maria Grazia Calandrone è riuscita in anni di divulgazione e riflessione sulla poesia civile a ritagliarsi un piccolo spazio attraverso le proprie trasmissioni radiofoniche e, raramente, andando in tv. Per il resto le voci poetiche restano escluse, non vengono accolte nel tentativo di arricchire la coscienza comune attraverso uno sguardo che restituisca un’immagine di società capace di superare le stime economiche dovute al rialzo dei prezzi o al cambiamento degli assetti geopolitici. L’essere umano vive in queste dinamiche, ma non può essere considerato solo all’interno di esse. E soprattutto va affrontata la questione della coscienza civile (anche poetica) con un occhio alla storia. Piersanti, da questo punto di vista, dimostra di avere una visione abbastanza ampia della questione e lo dimostra con l’acume che lo contraddistingue nell’ultima parte dell’intervista.

«Giovanna Rosadini: Vent’anni fa usciva La fine della storia di Francis Fukuyama. Oggi, nelle macerie delle città assediate e bombardate dai russi, quel libro è un lontano ricordo… In questi giorni mi è capitato di rileggere Gli imperatori di Fortini, un testo sulla guerra che ancora colpisce per la sua potenza. Che spazio rimane, oggi, per la poesia civile?

Umberto Piersanti: I poeti non sono profeti e spesso si sono anche messi dalla parte sbagliata. Le posizioni antisemite di Ezra Pound lo hanno portato a una vicinanza al fascismo e oltre. Neruda, Nazim Hikmet, i surrealisti francesi hanno parteggiato per Stalin o, se non per Stalin, per la dittatura sovietica. Molte poesie “civili” dei nostri anni hanno tonalità propagandistiche e settarie. I grandi poeti civili sono rari. Nella tradizione italiana va ricordato il Foscolo de I Sepolcri, il Carducci civile, Pasolini. In quest’ultimo i testi più belli ed importanti sono quelli dove la dimensione esistenziale si sposa con quella civile. A mio parere, dopo La religione del mio tempo, la vena civile del friulano si riempie di tonalità cronachistiche e giornalistiche. Se si pensa non ai risultati artistici ma alla visione politica e sociale, si potrebbe dire che il friulano ha colto benissimo i mali dell’occidente, ma ha quasi completamente taciuto quelli che dominavano i paesi oltre la cortina di ferro. Anche l’uccisione del fratello da parte di partigiani comunisti avrebbe dovuto, a mio parere, essere indagata di più nelle sue cause non solo accidentali. Faccio notare che la cultura italiana in genere, e non solo i poeti, prima del ’56, dei fatti d’Ungheria, non criticarono mai le dittature del “socialismo reale”. Talora le posizioni degli intellettuali, partendo dalle critiche al PCI, arrivavano a posizioni anche più estreme. Lo dimostra la grande simpatia con cui fu accolta dall’intellettualità italiana la rivoluzione culturale maoista: violenze ed orrori furono interpretati come positivo passaggio ad un mondo nuovo. Pasolini comunque è stato l’ultimo importante poeta civile italiano.

Di fronte ai bombardamenti in Ucraina i poeti prima di tutto, in quanto persone e intellettuali, dovrebbero fare sentire la loro voce. Certo, non è molto richiesta. Faccio notare che su Agorà, programma della terza rete, ogni giorno c’è un servizio speciale su uno scrittore che parla della guerra in Ucraina. Finora non ho visto nessun poeta invitato. Anche su Billy, rubrica del tg1 delle 13.30, al di fuori del discorso della guerra, non ho mai visto presentare un libro di poesie: in compenso non c’è mai stato un giorno senza che sia stato dato un grande spazio alla graphic novel. Scrivere poesie sulla guerra in Ucraina è un’altra cosa: si può condannare con totale determinazione e passione l’aggressione russa, senza per questo essere sollecitati a comporci una poesia. La poesia civile, se vuole essere tale, deve essere una necessità, un impulso irrefrenabile a scriverla come avviene per ogni altro genere di poesia».

Dopo le sollecitazioni del poeta urbinate, c’è stata una seconda iniziativa che mi ha condotto a una consapevolezza più profonda circa gli spazi da poter progettare al fine di avviare un dibattito poetico sulla guerra.
Nel numero dello scorso 6 aprile de La Bottega della Poesia, sul quotidiano La Repubblica di Napoli, Eugenio Lucrezi ha firmato un editoriale dal titolo “Tra odio e amore quattro poeti campani e i versi della guerra” nel quale ha presentato le liriche di Fabio Barissano, Marco Melillo, Francesco Papallo e del sottoscritto con una riflessione basata su quattro coppie di lemmi: Geometria/Geografia, Dal basso/Dall’alto, Percezione/Memoria, Svelare/Rivelare. In questo dialogo tra poetiche e coordinate visivo-concettuali, Lucrezi ha mostrato come il mondo della poesia può muoversi attraverso dei punti riconoscibili ed essere restituita a una fruizione non necessariamente partigiana, a partire dalle contingenze, nonché da grandi quesiti che la scrittura poetica attraversa intenzionalmente o per caso tramite l’atto espressivo. 

Partendo da qui, dopo alcune settimane di riflessioni, ho intuito che questa guerra non andava poeticamente attraversata stando solamente sul pezzo. Andava incoraggiato un dialogo tra gli autori e le scritture sul tema per poi lanciare uno sguardo sull’attualità. Così è nato Poesie di guerra e di pace, un programma su YouTube per poter discutere in poesia dell’orrore che sta cambiando le nostre vite.

Federico Preziosi


https://www.youtube.com/watch?v=UBgh3vLqIIs&list=PLMoH2mK07oU9-qJ1XYdzeEYkiZ5XTa0q5