North Congress Street, nella parte più vecchia del centro di Jackson, in Mississippi, a sud del Paese.

C’è una villetta bifamiliare, laggiù. Senza pretese, una casa qualunque. Uno dei due appartamenti è composto da quattro stanze, compreso il bagno, due giardinetti, sul davanti e sul retro, e un garage. Altre villette, di fianco e di fronte. In fondo alla strada, alcune pensioni in cui pranzare o cenare, e, raggiungibile a piedi, una scuola, la Jefferson Davis. È una strada tranquilla, North Congress Street, nel momento in cui cominciamo la storia; una strada qualunque in una città che conta allora 70000 abitanti – oggi ne ha ben più del doppio.

Profondo Sud del Paese: ancora segregazione razziale, in quegli anni, ma poi, più tardi, il movimento per i diritti civili.

È il febbraio del ’44, un inverno caldo.

Un uomo e una donna tornano a casa, in quella villetta, dall’ospedale Battista di Jackson. Si chiamano Parker ed Edna. Sono nati entrambi in Arkansas.

Non sono più giovani, non per gli standard dell’epoca, almeno: Edna ha trentacinque anni e Parker quaranta. Sono sposati da quindici.

Prima di allora hanno viaggiato in lungo e in largo per gli Stati Uniti, e dormito in alberghi, qua e là. Parker lavora per una ditta di Kansas City, la Faultless Company – fondata nel 1887 – vendendo amido per il bucato, andando, come commesso viaggiatore, di città in città. La loro automobile è un campionario ambulante.

Hanno viaggiato per quindici anni – dopo il matrimonio, Edna ha deciso di accompagnare il marito dovunque; lo farà ancora, ma sempre più raramente.

Poi hanno affittato quell’appartamento, in cui stanno rientrando, nella villetta senza pretese su North Congress Street, città di Jackson, nel cuore dell’ampia zona di competenza di Parker – Alabama, Louisiana, sud dell’Arkansas.

Non sono soli, però: con loro c’è un bambino appena nato – il 16 febbraio, un mercoledì, alle due del mattino. È il loro primo bambino, e sarà l’unico.

Il piccolo si chiama Richard. Lo portano in casa, in quell’inverno del ‘44, mentre in Europa e nel Pacifico si continua a combattere furiosamente – l’abbazia di Montecassino, tanto per dirne una, è stata appena distrutta.

Parker ed Edna, e adesso il piccolo Richard. Né ricchi né poveri. Una casetta in affitto, un’automobile. Una famiglia degli anni ’40 come tante altre, negli Stati Uniti.

La famiglia Ford.

La porta si chiude alle loro spalle, nel caldo di quella giornata invernale: non li vediamo più. Il nostro sguardo si sposta.

Dall’altra parte di North Congress Street, esattamente di fronte, c’è un’altra villetta, costruita nel 1908 da un’altra coppia di sposi, Christian e Chestina Welty.

Tra quelle mura, è nata e cresciuta la loro prima bambina, Eudora, seguita poi da due maschi.

Eudora e i fratelli hanno trascorso l’infanzia in quella strada tranquilla di Jackson, per poi andarsene nel ’25, trasferendosi all’1119 di Pinehurst Street, non troppo lontano da lì.

Quella bambina scriverà, da grande, romanzi e racconti – una delle più importanti scrittrici americane – e vincerà il Pulitzer nel ’73 con il romanzo La figlia dell’ottimista.

Non corriamo troppo, però, non così tanto veloce.

Quel giorno d’inverno del ’44, mentre la famiglia Ford varca la soglia di casa, Eudora, quarantatré anni, sta lavorando a Le nozze sul Delta, non molto lontano da lì ma non lì, non più in North Congress Street.

Non vede Richard, neonato, in braccio ai suoi genitori, non può sapere di lui. Non ne sa niente della famiglia Ford. Eppure sono vicini, nella città di Jackson, e le loro vite, per un certo verso, saranno guidate dalla medesima forza.

Andiamo avanti nel tempo, ma solo un po’.

Siamo all’inizio degli anni ’50. Richard adesso ha otto o nove anni – è un bel bambino vivace, con grandi occhi azzurri – e ha accompagnato sua madre Edna a fare compere. Si sono fermati al Jitney Jungle, nel sollievo dell’aria condizionata, a mangiare qualcosa, e sono in coda, pronti a ordinare.

Si guardano intorno, aspettando il loro turno. A un certo punto, sua madre gli indica una donna alta che sta ridendo e chiacchierando con altre persone, poi dice: “Richard, vedi quella donna laggiù?”.

Lui annuisce. Certo, l’ha vista.

“Lei”, aggiunge sua madre, “è Eudora Welty. È una scrittrice”.

Richard non ha mai sentito quel nome, forse neppure capisce che cosa sia una scrittrice. È appena un bambino: quella è una donna qualunque, per lui. Però capisce una cosa, sentendo sua madre parlare, cogliendo il suo tono di voce, all’improvviso diverso: scrivere è un fatto importante. Già, perché Edna – che pure legge soltanto bestseller, a volte, la sera – l’ha detto proprio così, con rispetto, e lui se n’è accorto.

Richard, that’s Eudora Welty, over there. She’s a writer.

Eudora non vede il bambino dagli occhi azzurri: sta chiacchierando e ridendo. Se lo vedesse, comunque, che cambierebbe? Sarebbe solo un bambino qualunque.

L’istante passa, come ogni istante, nella frescura del Jitney Jungle. Arriva il momento di ordinare il pranzo. Richard ha fame. Non pensa più a quella donna.

È un’estate torrida a Jackson, nei primi anni ‘50.

Spingiamoci più avanti ancora, fino all’autunno dell’89, e in un altro posto, molto diverso, molto lontano da Jackson.

Adesso siamo in Montana, quasi al confine col Canada. Più di preciso, siamo arrivati in un paese che si chiama Dutton, nella contea di Titon. Dutton, la capitale del grano.

Un uomo, quell’anno, si trova a vivere lì, nelle praterie, anche se viene da altrove e se ne andrà altrove. In quel momento è in attesa: aspetta che un editor – Gary Fisketjon – gli rispedisca le bozze editate del suo romanzo. Si gira i pollici, intanto: Gary è in ritardo.

Ma poi affitta una stanza sopra un’officina meccanica, e comincia a scrivere un’altra storia, la storia di un ragazzino che, separato dai suoi genitori, viene portato in Canada.

Scrive una ventina di pagine – meglio che girarsi i pollici, non c’è alcun dubbio – finché finalmente non riceve il manoscritto editato, e allora le mette da parte.

Ha quarantacinque anni, nell’89, ha grandi occhi azzurri, occhi penetranti. È uno scrittore. Lo immagino scrivere, nella stanzetta in affitto sull’officina meccanica a Dutton, Montana, tra le praterie. Scrive e aspetta.

Magari, per un istante, ripensa a un’estate torrida in Mississippi, mentre era in coda al Jinty Jungle, in compagnia di sua madre, e lei aveva indicato una donna, Eudora Welty, intenta a ridere e a chiacchierare, e lui, bambino, aveva pensato che scrivere fosse una cosa importante. Del tutto sconosciuta, per lui, allora – un altro mondo – eppure importante.

Quell’uomo, seduto a scrivere in una stanzetta a Dutton, Montana, molto lontano da Jackson e dalla sua infanzia, si chiama Richard. È Richard Ford.

E – guarda che cosa combina la vita – he’s a writer.

To be continued…

Elena Varvello

Leggi la presentazione di Americana