Vi è mai capitato di pensare così intensamente a una storia da farne vivere i personaggi, tanto da vederli lì, di fronte a voi, ognuno con il suo carattere, i suoi trascorsi, la sua mentalità, e di non riuscire a smettere di provare per loro sentimenti reali come affetto, antipatia, perfino repulsione per la loro condotta e il loro modo di pensare?

Bene, potete stare tranquilli, non siete i soli: questo strano fenomeno ha un nome, si chiama Fantasia. La Fantasia un giorno ha presentato a Luigi Pirandello una famiglia composta da Padre, Madre e dai quattro figli; tutti gli chiedevano con insistenza una cosa sola: ideare per loro un romanzo, un dramma o una novella.

Pirandello non sa come gli sia venuto in mente di crearli, ma ormai il “malaugurato capriccio”, come lui lo definisce, era compiuto: Quale autore potrà mai dire come e perché un personaggio gli sia nato nella fantasia? Il mistero della creazione artistica è il mistero stesso della nascita naturale.

A quel punto non poteva più privarli dell’esistenza, e fu allora che nacque l’idea: raccontare il caso di un autore che si rifiuta di far vivere i suoi personaggi, tanto da costringerli, in un certo senso, a ricercare qualcuno che sia disposto a portarli sul palco.

E allora, ecco, lasciamoli andare dove sono soliti d’andare i personaggi drammatici per aver vita: su un palcoscenico. E stiamo a vedere cosa ne avverrà.

I sei personaggi si recano da un capocomico e gli chiedono di permettergli di recitare. L’uomo però, benché accetti di portarli sul palco, desidera che siano i suoi attori ad impersonarli: la famiglia dovrà solo spiegare ai professionisti la vicenda e aiutarli nelle battute. Ed è in questa maniera che la storia prende vita, perché, mentre i sei personaggi tentano di convincere il capocomico che nessuno meglio di loro possa rappresentare la trama, quest’ultima viene portata avanti da sé e i sei protagonisti inscenano il loro dramma personale.

Quelle che sembrano apparenza e finzione diventano realtà, come dice il Padre:

Il dramma è in noi; siamo noi; e siamo impazienti di rappresentarlo così come dentro ci urge la passione!

Nel mondo reale spesso non accade la stessa cosa? Che siamo a lavoro, a scuola o in altri contesti, ci viene richiesto di interpretare una parte, di indossare una maschera che progressivamente prende forma, si arricchisce di particolari, di sfumature e che vive con noi. A volte tenta di uscire, perfino di prevaricarci e per questo la amiamo o la odiamo, ma il punto è che non possiamo negarne l’esistenza o metterla a tacere. La maschera che ci nasconde assume vita propria, vuole emergere e, triste a dirsi, a volte diventa più vera di chi la indossa.

Rossella Belardi