Sono indecisa se annoverare Victoria Park dell’esordiente londinese Gemma Reeves, pubblicato da Atlantide Edizioni e tradotto da Marina Sirka Mosur, tra i romanzi o le raccolte di racconti. Invece non ho dubbi sul fatto che sia stata una lettura bellissima, lirica e composta da personaggi intrisi di contraddittorietà e per questo così veri e vicini a noi; dove i luoghi sono simboli magici che influenzano le nostre vite, i nostri incontri e con essi, i nostri destini.

Il libro è suddiviso in dodici capitoli, uno per ogni mese dell’anno, nell’ordine che va da ottobre a settembre, e ci presenta gli scorci di vita di dodici personaggi le cui esistenze si intrecciano in un modo che sembra essere inevitabile, attraverso legami profondi e costruiti o incontri fugaci e casuali. Vite interconnesse sia dall’aspetto geografico – le abitazioni dei personaggi gravitano tutte intorno al bellissimo Victoria Park – sia dalle abitudini e dal bisogno che abbiamo noi esseri umani di sentirci parte di una comunità, di socializzare e riconoscersi nel prossimo.

Come nel caso di Luca, italiano immigrato a Londra e giovane padre di due figli adolescenti, che si ritrova il mercoledì a suonare con il suo gruppo. Luca lavora nel deli kosher di Wolfie e Mona, due ebrei in pensione che devono lottare, dopo anni di amore e una vita felice alle spalle, con la malattia di lei, l’Alzheimer, che avanza inesorabilmente. Come Bettie e Mia che si amano pur nella loro diversità e che provano ad avere un figlio con la FIVET, il bisogno di Bettie di lavorare nella scuola per ragazzi con bisogni educativi speciali pur rasentando ogni mese un esaurimento nervoso. Come Vicky, attaccata alla speranza di vedere il figlio, in coma in seguito a un’aggressione con l’acido, risvegliarsi. Poi c’è Freddy, il figlio di Luca che sta con Ana con cui condivide il suo segreto più intimo. E Rose, che osserva Freddy dalla finestra, e che, incattivita dalla vecchiaia e dalla malattia, dovrà accettare un cambiamento impostole dalla figlia, lontano dalla grande finestra che dà su Victoria Park e sulle persone che lei ama osservare.

Victoria Park è situato nell’East End della capitale inglese ed è un luogo caro all’autrice londinese. La scelta di rendere protagonista una piccola oasi di pace all’interno di una delle città più frenetiche e cosmopolita del mondo è data non soltanto dall’ottima conoscenza della zona da parte della Reeves ma anche dalla grazia che questo parco sembra restituire ai personaggi che gli orbitano intorno, bisognosi di un ritrovo interiore ed esteriore.

Il parco sembra, infatti, respirare o al contrario trattenere il fiato insieme a loro, si fa silenzioso e accogliente oppure assordante, a seconda dello stato d’animo di coloro che gli gravitano intorno. Vicky, per esempio, sceglie di passarci davanti ogni giorno nonostante suo figlio sia attaccato ad una macchina per respirare a causa di un’aggressione avvenuta nel parco.

Quando svoltava su Victoria Park Road tratteneva il respiro ma aveva deciso di non evitarla. I faggi grondavano di pioggia. Boccioli bianchi e rosa venivano portati via dal vento.

Al contrario di Elena, che invece ne ha bisogno per riprendere fiato da una vita che va troppo veloce, che non ha potuto scegliere e che, ci lascia intendere, le sta un po’ stretta.

L’anello di faggi che delimitava Victoria Park comparve all’orizzonte. Si appoggiò a Joe e gli chiese di girarci intorno un paio di volte prima di lasciarla. Solo altri cinque minuti, si disse, e poi si sarebbe svegliata.

Tutti i personaggi della storia sono complessi, sfaccettati e pieni di contraddizioni. Non ci appaiono però solo molto realistici a livello introspettivo, l’autrice, infatti, sembra pescare dalle proprie conoscenze e rappresentare con dimestichezza un gruppo di persone tipiche della Londra odierna: multiculturale, complicata, eterogenea, nevrotica, aperta. Grazie alla scrittura e alle scelte stilistiche di Gemma Reeves è davvero molto facile immedesimarsi nei problemi di tutti i personaggi; il loro quotidiano, il pezzetto di vita su cui ci affacciamo all’apparire di ognuno di loro, così ben tratteggiato dal flusso di pensieri in cui ci immergiamo ad ogni capitolo, sembra essere il nostro, pieno di piccole e grandi insidie e tanti pensieri che girano in testa.

In ultimo vorrei spendere qualche parola sulla bellezza della carta utilizzata dalla casa editrice Atlantide. Si chiama Aralda ed è delicata e ricercata proprio come le storie al suo interno. Il volume, inoltre, fa parte di una tiratura limitata di 999 esemplari. Io avevo il 946.

Veronica Nucci

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