Per una lira è il titolo di una canzone di Lucio Battisti che comincia così: Per una lira io vendo tutti i sogni miei. E poi la voce a strisce di Battisti racconta la storia di qualcuno che a malincuore si distacca da una parte di sé. Ascoltandola, ho sempre pensato a chi scrive. In particolare agli esordienti. Chi, per la prima volta (e spesso per una lira) consegna il proprio destino al mondo. Nell’incertezza e nell’imprecisione, un esordio insegna a scrivere più di un capolavoro (anche quando le due cose coincidono: David Foster Wallace, La scopa del sistema, 1987). Per una lira è uno spazio dove leggendo le nuove voci della narrativa, italiana e straniera, metteremo in luce alcuni aspetti di un romanzo legati al gesto dello scrivere per la prima volta, ovvero alla scoperta della propria voce.

Alessandra Minervini, scrittrice, editor e writing coach. Il suo primo romanzo si intitola Overlove, LiberAria 2016. Il suo sito è alessandraminervini.info. Qui gli articoli pubblicati su exlibris20.


Claudio Lagomarsini, Ai sopravvissuti spareremo ancora, Fazi 2020

Una “tragedia della porta accanto” dai toni alti e trasfigurati. Il ritratto lucido e impietoso di un mondo al tramonto visto con gli occhi di un ragazzo, impotente di fronte alla realtà in cui si trova a vivere.
Un giovane è costretto a tornare nel paese d’origine per vendere la casa di famiglia: è un ritorno doloroso così come lo è il ritrovamento di cinque quaderni scritti molti anni prima dal fratello maggiore Marcello. Leggendoli per la prima volta, il ragazzo, ormai uomo, ripensa all’estate del 2002 quando i due fratelli vivevano ancora insieme, con la madre e il compagno della donna, soprannominato Wayne. La loro casa era stretta tra quella della nonna materna e quella di un uomo, soprannominato il Tordo. Nei quaderni, Marcello racconta molte cose di quell’estate: le cene all’aperto, le discussioni furibonde tra il Tordo e Wayne, la relazione amorosa tra la nonna e il Tordo, il rapporto conflittuale tra la madre e la nonna. Fra i vari episodi riportati nel diario, uno in particolare sarà quello che scatenerà la serie di eventi che porteranno all’inaspettato e drammatico epilogo.
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Lezione n. 20

Scrivere il ricordo

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L’esordio di Claudio Lagomarsini, pubblicato qualche mese fa da Fazi è stato accolto con entusiasmo dalla critica italiana, fino alla comparsa nella primissima selezione del Premio Strega 2020. Il romanzo è un tipo di storia in cui il passato, il ricordo, trasfigura il presente, il tempo della storia. Ci sono scatole, vecchi manuali di scuola e poi piccoli quaderni manoscritti Monocromo. C’è una grafia piccola e nervosa con le cancellature del pudore e della rabbia. Ci sono due fratelli, uno racconta e uno scrive. Il primo è tornato nella vecchia casa di famiglia, nella campagna toscana, per sbaraccarla e cederla alla vendita; il secondo, Marcello, è morto molte estati prima.

“Quell’estate, l’estate della mia terza superiore, stavo tutto il giorno al mare. Non ho ricordi precisi, distinti. Mi resta in mente, come in un video mandato al fast forward, una lunga sequenza di sbornie, scherzi, pallonate, gavettoni, uscite con gli amici, baci con troppa saliva e sigarette fumate dietro alle cabine del Bagno Universo.”

Il manoscritto ritrovato di Marcello è l’espediente narrativo da cui prende avvio la vicenda, un lungo impietoso tragicomico flashback in cui scopriamo che gli affari di famiglia restano sporchi anche a lavarli in casa.

Leggendo un’altra pagina a caso riconosco, nei nomi mutati e nei nomignoli, nei caratteri esagerati e distorti, alcuni di noi. In un primo momento sento lievitare un’attesa venata di timore, che potrebbe tradursi in una domanda egocentrica: quale aspetto avrò sotto la penna di Marcello?

Non esiste una cosa più complicata della messa in scena di un ricordo. Come faccio a raccontarlo senza annoiare il lettore? Una delle domande più frequenti che un aspirante scrittore rivolge a se stesso, e al suo lettore ideale, è questa. Il ricordo in un romanzo non è trama. Non lo è per natura. È un dettaglio, una didascalia, uno spunto narrativo. Ma da solo non costituisce una storia. A meno che non venga trasfigurato, cioè il ricordo di un fatto passato diventa trama quando appare mutato nella forma e nell’espressione. L’arte è una forma di trasfigurazione della realtà. Così avviene nei dipinti del Rinascimento dove l’immagine sacra appare in maniera chiaramente fittizia in un contesto quotidiano o comunque naturale. Chi ammira un quadro di Giotto o di Raffaello si innamora della trasfigurazione della scena, non della sua messa in scena reale. Così, in questo romanzo lucido come una mitragliata di colpi alle spalle, non ci interessa tanto cosa fa la voce narrante quanto ciò che contiene il manoscritto ritrovato, ovvero il ricordo. La memoria srotola la sacra e ben riuscita trasfigurazione di una famiglia che appartiene al protagonista quanto a buona parte della generazione dei nati nei primi anni Ottanta italiani.

Finisco per riconoscere i fatti, per intravedere anche me stesso in un personaggio che lui chiama, non capisco perché, “il Salice”.

La voce narrante che racconta in prima persona e che chiameremo “il Salice” così come la connota Marcello, scopre leggendo che il fratello aveva scelto un titolo per il suo romanzo e questo coincide poi con quello di Lagormarsini: Ai sopravvissuti spareremo ancora.  Ancora una traccia di memoria autoprofetica che ci conduce fino alla fine quando ci sentiamo spalle al muro; effetto positivo quello di tenere in ostaggio il lettore, vittima di una vena voyeuristica architettata dall’autore. Il manoscritto si compone di cinque quaderni e alla fine il ricordo viene a galla, con la voce narrante, che lo trasforma in verità nascosta, accentuando il valore di quest’opera. Quando raccontiamo il passato, di scavare nelle memorie di una famiglia, vera o presunta che sia, dobbiamo essere molto attenti a compiere il gesto principale di un narratore: la scelta. Non tutta la vita si traduce in trama e non tutte le trame sono necessariamente legate a filo doppio con l’esistenza. È fondamentale scegliere il punto di vista da cui viene filtrata la memoria. In questo romanzo spesso l’operazione di filtraggio narrativo passa attraverso la memoria pop fatta di canzoni, videoclip, programmi TV: un immaginario simbolico solo in apparenza neutrale.

La scrittura di Lagomarsini è piana, dallo stile lineare, ma velata di una rabbia giovane ben calibrata. Fa pensare leggendolo a una sorta di canone anti-pulp eppure pro-pulp. Pur discostandosi per lingua e voce, si avverte una presenza “cannibale” nel talento di Lagomarsini che può fare riferimento agli esordi di Niccolò Ammaniti (Branchie), Aldo Nove (Woobinda e altre storie senza lieto fine) e Tiziano Scarpa (Occhi sulla graticola). C’è una sorta di eredità letteraria inconsapevole che rende la scrittura di questo giovane autore una forma ibrida, volutamente inafferrabile che però pretende e deve essere letta in maniera del tutto naturale.

Piccola bibliografia per chi vuole scrivere
Scrivere il ricordo



Niccolò Ammaniti, Branchie, Einaudi 2015
Aldo Nove, Woobinda e altre storie senza lieto fine, Castelvecchi 1996
Tiziano Scarpa, Occhi sulla graticola, Einaudi 2005
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