«Elias non l’avrebbe permesso: gli avrebbe rotto i denti con un pugno. Elias è un uomo: siamo uomini, noi, non siamo bambocci di formaggio fresco come i continentali, anche se essi sono guardiani di uomini…». Sullo sfondo di una Sardegna rurale, Grazia Deledda disegna i protagonisti di questo fortunato romanzo: pubblicato per la prima volta nel 1900, sulla «Nuova Antologia», Elias Portolu verrà ripubblicato dai Fratelli Treves prima nel 1920 e poi nel 1928.

Negli ultimi anni, grazie soprattutto al fenomeno dell’empowerment femminile, si è assistito alla riscoperta di testi e personaggi dimenticati da tempo: insieme alle novità editoriali, difatti, vi è stata la possibilità di riportare in auge quei romanzi, prodotti da autrici otto-novecentesche, considerati inestimabili alla luce di un nuovo potenziale comunicativo. È il caso di Grazia Deledda, vincitrice del premio Nobel per la letteratura nel 1926, paladina delle donne e di una sensibilità verista. Conosciuta in particolare per le sue storie “al femminile”, Deledda ha ideato negli anni, come pochissime altre scrittrici, delle avventure al maschile, prodotte secondo il punto di vista di una donna.

Considerato dai più il suo capolavoro, insieme a Canne al vento, Elias Portolu è la storia di un giovane ragazzo di ventitré anni, appena uscito dal penitenziario. I personaggi che animano la vicenda sono perlopiù uomini, descritti secondo lo stereotipo del contado rurale: Elias vive circondato dal padre e dai fratelli, individui rozzi e iracondi, dediti al vino e alla vita nei campi. Le uniche donne presenti nella vicenda sono la madre di Elias, una povera donna, e la promessa sposa del fratello, Maria Maddalena. Sebbene la storia sembri, ad un primo sguardo, svolgersi tra le stradine della Sardegna, la dinamica avviene, per la maggior parte, nella testa di Elias: innamoratosi follemente di Maria Maddalena, tenterà in ogni modo di allontanarla e di allontanarsi, scegliendo, come unica via di fuga, la vita clericale. Come nell’Orlando furioso, però, Elias sarà costantemente in balìa di spinte centrifughe e centripete, riavvicinandosi alla fanciulla e scappando da lei.

L’attenzione maniacale che la scrittrice investe sulla figura del protagonista fa emergere una nuova tipologia di “uomo”: avvicinandosi alla sensibilità degli scrittori russi di fine Ottocento, Deledda svela davanti ai nostri occhi la verità nascosta sotto i luoghi comuni; Elias viene da sempre considerato una “femminuccia” perché pallido, timido, dai modi cortesi, a differenza dei famigliari sempre rubicondi in volto e dalle mani ormai usurate. Il giovane è sempre in pericolo, perché le tentazioni aumentano con il passare del tempo e, ad un certo punto, non riuscirà più a resistere. Il tormento che logora Elias lo porterà quasi alla follia e, di rimando, anche Maddalena subirà delle battute d’arresto: per la prima volta, forse, nella storia della letteratura italiana (di inizi Novecento) sarà una donna a sfruttare un uomo, a ridurlo a mero oggetto di desiderio sessuale, annullando la sua sfera emotiva e la sua sensibilità, nonché le sue volontà. Sebbene ad Elias venga ribadita più volte, da personaggi esterni, la normalità delle passioni umane, egli non può far altro che manifestare il suo tormento, tanto da sentirsi rispondere dal padre: «Uomini bisogna essere, uomini, leoni; non commuoversi, non cambiar viso, non piangere. Cosa è un uomo che piange?». È proprio con queste battute che Grazia Deledda abbatte ogni frontiera: Elias è l’emblema della rivendicazione di genere, colui che lotta per la parità, un tema oggi largamente dibattuto.

Pochi sono gli esempi di “donne che scrivono di uomini” ed Elias Portolu è il romanzo di più alta moralità che sia stato scritto nell’ultimo secolo, un’innovazione sul fronte stilistico e tematico, specchio della profonda intelligenza emotiva che caratterizzava Grazia Deledda.

Eleonora Lizzul

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