Per una lira è il titolo di una canzone di Lucio Battisti che comincia così: Per una lira io vendo tutti i sogni miei. E poi la voce a strisce di Battisti racconta la storia di qualcuno che a malincuore si distacca da una parte di sé. Ascoltandola, ho sempre pensato a chi scrive. In particolare agli esordienti. Chi, per la prima volta (e spesso per una lira) consegna il proprio destino al mondo. Nell’incertezza e nell’imprecisione, un esordio insegna a scrivere più di un capolavoro (anche quando le due cose coincidono: David Foster Wallace, La scopa del sistema, 1987). Per una lira è uno spazio dove leggendo le nuove voci della narrativa, italiana e straniera, metteremo in luce alcuni aspetti di un romanzo legati al gesto dello scrivere per la prima volta, ovvero alla scoperta della propria voce.
Alessandra Minervini, scrittrice, editor e writing coach. Il suo primo romanzo si intitola Overlove, LiberAria 2016. Il suo sito è alessandraminervini.info. Qui gli articoli pubblicati su exlibris20.
Selin ha diciotto anni e grandi aspettative, ma non è una diciottenne come tutti, o almeno così crede. Lei è la ragazza prodigio che ha letto sempre un libro più degli altri, e pensa di aver già fatto ogni esperienza possibile attraverso le pagine dei romanzi che ama. Ma al primo anno di università scoprirà che purtroppo le persone non sono personaggi e forse le certezze dei libri non sono poi così certe. Scoprirà che l’amore è più strano, banale eppure complesso di quanto si potrà mai leggere. Scoprirà di essere un’idiota, come tutti. Nel 1995, mentre il mondo impara a usare le email e a comunicare via internet, Selin è una matricola a Harvard. Per lei comunicare, con o senza internet, è sempre stato un problema. Il suo rapporto con il mondo passa soltanto attraverso i romanzi: e così tutto della vita universitaria le pare assurdo. Il cavo Ethernet della connessione di dipartimento serve per impiccarsi? Se si compra tequila per la festa, come mai anche il sale? E perché nessuno si rende conto di desiderare solo ciò che non può avere? Quando però incontra Ivan tutto cambia. E per la prima volta capisce quanto è bizzarro e doloroso il desiderio e quanto è difficile ottenere ciò che si vuole davvero.
https://www.einaudi.it/
Lezione n. 6
Raccontare l’amore
(parte seconda)
Se mi dovessero chiedere di cosa parliamo quando parliamo d’amore nei romanzi, io risponderei: di principianti. Di chi è talmente alle prime armi da non conoscere le strategie per raccontarlo, l’amore. E dunque riesce a farlo bene, nell’unico modo possibile che si possa fare: con uno sguardo personale. Perché poi, quando si diventa “professori” l’amore finisce. Almeno nei libri. Questo succede a Selin, la protagonista de L’idiota, romanzo d’esordio di Elif Batuman, succede di essere una principiante, in tutto. Di origini turche, ha compiuto diciotto anni e si è appena iscritta ad Harvard, siamo negli anni novanta, Facebook non esiste e l’internet non è ancora un rifugio per anaffettivi ma la scoperta di un nuovo pianeta, bellissimo e niente affatto pericoloso. Il romanzo, suddiviso per mesi e stagioni, è la storia di una giovinezza che si interrompe nel momento in cui Selin si innamora di Ivan. Da quel momento comincia l’arte del maiunagioia. Ma prima c’è il racconto del vero grande amore della protagonista: la lettura, i libri e in particolare i grandi romanzi russi.
“A me non interessava la società, non interessavano i problemi economici della gente dei secoli passati. Volevo sapere cosa significavano veramente i libri.”
La Batuman aveva già dato prova di essere una appassionata di letteratura russa qualche anno fa, con il saggio Posseduti, sempre pubblicato da Einaudi, e non è certo un caso che L’idiota (pubblicato in edizione originale dalla Penguin che ha ideato la splendida copertina giustamente ripresa nella edizione italiana) sia una citazione manco tanto velata del capolavoro russo. Qui però il senso sembra ribaltarsi dal momento che dell’uomo assolutamente buono a cui aspirava Dostoevskij oggi non vi è traccia. La vera notizia è che “l’idiota” adesso è donna, una donna buona. Ed è piacevole, nel dispiacere, proseguire nella lettura del romanzo e sentirne la mancanza, di un uomo buono.
Chi ha letto La trama del matrimonio di Jeffrey Eugenides ritroverà in questo romanzo le atmosfere metaletterarie che fanno da contraltare alla storia principale. Nell’esordio della Batuman la lettura dei romanzi si intreccia alle storie raccontate. Accanto alla trama principale si sviluppa una minitrama, sempre a sfondo sentimentale, ambientata in Siberia con protagonista una Nina, archetipo dell’eroina innamorata. Annoia tutto questo? Niente affatto. Le oltre 400 pagine, tradotte con brillante sapienza da Martina Testa, sono quanto di più coinvolgente io abbia letto negli ultimi tempi. Selin è una di noi, se avete studiato fuori sede e magari pure comunicazione siete spacciati: vi prenderanno degli attacchi di nostalgia che leccherete a una a una le pagine di questo romanzo per illudervi che quel periodo passato sia ancora presente. Selin, come se non bastasse la sua indole da booklover, scrive. Scrive racconti e pian piano si affaccia nell’incostante mondo della piccola editoria, pubblicandoli.
“Pensavo che il senso dei racconti stesse in quello: inventare una catena di eventi che potessero in qualche modo rappresentare un certo stato d’animo; come si era creato e a quali conseguenze poteva portare.”
Scopriamo quindi anche una Selin riflessiva, piena di dubbi tipici di chi trasfigura tutto ciò che accade, subliminandolo con l’invenzione narrativa. E il romanzo diventa pure un manuale di scrittura che a saltelli ci illumina su cosa sia o meno scoprire la vocazione letteraria. Ma anche se vi stesse antipatica, Selin, non potreste rinunciare a leggere questo romanzo perché poi arriva Ivan e la storia di una ragazza alle prese con le prime volte di tutte le possibili prime volte di una ragazza diventa la storia di un amore di fronte alla sua primitiva scoperta. Ivan è bello, assente, colto, sfuggente, lontano, praticamente inesistente come ricorda alla protagonista lo psicologo del campus in un esilarante dialogo sull’eventualità che una volta conosciuto, Selin possa schifarlo scoprendo che a Ivan gli puzza l’alito. Come è giusto che sia, l’amore viene raccontato nell’unico modo convincente che esiste ovvero nella sua inesistenza, nella sua consistenza immaginaria.
Sapevo che avrei dovuto pensare a delle cose da dire a Ivan. Ma da dove dovevano venire queste cose: da fuori della mia testa?
Lei è sempre un passo indietro dal grande passo. Stravolta da un sentimento che non ri-conosce come se andasse in giro con un vestito di due taglie più grandi: inciampandovi dentro senza volerselo togliere di dosso. Ogni tanto ci penserà sua madre a farle il vestito giusto, a darle una svegliata sull’amore e le sue banalità, memorabile un dialogo tra di loro che non svelo perché va letto (p. 214 e 215).
Ma a noi ce ne frega poco in realtà dell’eventualità o meno che questi due si mettano insieme. A noi frega restare dentro queste pagine più a lungo possibile. Non vogliamo lasciare la vita di Selin. Una parte di essa ci appartiene, o ci è appartenuta e l’abbiamo persa, e allora poco cambia se lei e Ivan vivranno per il resto della loro vita felici e contenti. Ciò che conta, e qui dobbiamo imparare tutti, è averli conosciuti. Avere avuto le loro vite dentro la nostra. Questo significa scrivere d’amore senza essere banali, lasciar perdere ciò che funziona e mettere in scena quello che non funziona. Non basta scrivere di sé, bisogna essere se stessi.
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