Cinque romanzi rappresentativi di un paese e di una cultura, cinque libri che hanno ottenuto importanti riconoscimenti nei loro confini nazionali, il Premio Strega Europeo quest’anno parla rumeno, spagnolo, bulgaro, francese e tedesco. I cinque finalisti della rassegna, arrivata alla sua ottava edizione, sono Ana Blandiana, Applausi nel cassetto (Elliot), traduzione di Luisa Valmarin, Premio dell’Unione degli scrittori di Romania; Aixa De la Cruz, Transito (Perrone), traduzione di Matteo Lefèvre, Premio Euskadi de Literatura en castellano; Georgi Gospodinov, Cronorifugio (Voland), traduzione di Giuseppe Dell’Agata, Premio letterario nazionale bulgaro; Hervé Le Tellier, L’anomalia (La nave di Teseo), traduzione di Anna D’Elia, Prix Goncourt; Anne Weber, Annette, un poema eroico (Mondadori), traduzione di Agnese Grieco, Deutsch Buchpreis.
Partiamo dal ritorno sugli scaffali delle librerie italiane di Ana Blandiana con Applausi nel cassetto, un vero e proprio evento editoriale, in romeno Fals tratat de manipulare (Humanitas, Bucarest, 2013). Blandiana, testimone diretta dei fatti che descrive, è attiva sostenitrice dei diritti civili in Romania. Tra le molte iniziative di cui è stata promotrice, nel 1990 ha rifondato il PEN Club romeno, ha dato vita al movimento “Alleanza Civica” e ha creato, insieme al marito Romulus Rusan, giornalista e scrittore, il “Memoriale delle vittime del Comunismo e della Resistenza”. Molto suggestivo il titolo del romanzo con il quale arriva tra i finalisti. Gli applausi cui fa riferimento sarebbero quelli scroscianti preregistrati e mandati ossessivamente da potenti amplificatori durante i discorsi dittatoriali di Nicolae Ceaușescu. Pedinata dalla Securitate, isolata dagli affetti e impossibilitata a pubblicare per anni, Blandiana mette in atto la propria resistenza all’annientamento continuando a scrivere, come il protagonista del suo romanzo Alexandru Serban. Lo usa come suo alter ego, scrivendo in prima persona e calandosi nei panni di un uomo. Seban, che è sorvegliato dai servizi segreti, si isola in un luogo remoto sulle rive del Danubio, dove compie lo stesso atto di ribellione della sua autrice: continuare a scrivere. Il romanzo si sviluppa su diversi piani narrativi, dilata la sua espressione storica moltiplicandola nel tempo e nello spazio: un ospedale psichiatrico, lo scavo archeologico di un sito bizantino, una città che è in continuo stato di rifacimento, il deciso fluire del fiume. Tutto ripercorso attraverso una prosa lirica, dall’ampio fraseggio, con tratti profondi che da poetessa riesce a restituire grazie all’occhio sensibile e attento di chi scruta il mondo penetrandolo. L’incipit, potente e rivelatore, rende subito l’idea del grado di introspezione che raggiunge l’autrice al netto dell’azione: “Ho cominciato a correre, prima di chiedermi se ero più vigliacco o più coraggioso degli altri, scappando.” La dimensione politica di quest’opera – mondo, tanto appassionante quanto penetrante, mette subito in evidenza la tensione costante che innegabilmente esiste tra individuo e società, tra la scelta individuale e la direzione politica di un paese che può segnare destini e indirizzare collettive vie di fuga o di resistenza.
Dalla penna di Ana a quella di Anne, restando sempre in area politica. Anne Weber è scrittrice e traduttrice di origini tedesche e canta le gesta dell’eroina francese Annette Beaumanoir, nata nel 1923 in Bretagna e che oggi vive in un paese nel Sud della Francia dove ha conosciuto l’autrice. Questo incontro ha portato alla stesura di Annette, ein Heldinnenepos in italiano Annette, un poema eroico, biografia in versi di Beaumanoir. Una storia vera che cattura il lettore a mezzo di una figura ancora poco conosciuta che ha contribuito alla lotta per la liberazione del popolo francese e del popolo algerino. Il romanzo, scritto come un poema epico, segue le imprese eroiche di una donna che rappresenta un ingranaggio della resistenza nella Francia sotto occupazione dell’esercito nazionalsocialista degli anni ’40. Annette impara a non aver paura, impara a schivare fallimento e morte aiutando decine di famiglia a rifugiarsi e a scappare dai rastrellamenti. E quando la guerra si conclude e può archiviarsi nei suoi futuri ricordi di mamma e poi di nonna, Annette capisce che quella resistenza non si esaurisce mai. La Resistenza, così come l’aveva vissuta lei, è un moto interiore perpetuo, non termina a guerra finita perché è una forza propulsiva che guida per tutta la vita. Può cambiare causa a cui votarsi ma costituirà sempre un motore accesso che riparte per mettere in salvo chi è oppresso. Così passa qualche anno e nel 1954 decide di lottare al fianco degli indipendentisti algerini del FNL (Front de Libération Nationale). Resistenza, ma cambio della causa, solo che stavolta i ruoli si capovolgono e l’oppressore è chi in precedenza aveva aiutato: la sua Francia. Fuggire da chi ti ha fatto crescere. Questa condizione di “traditrice” la porta a cambiare identità, paese, colore di capelli, documenti, tutto per non essere riconosciuta. Ma nonostante questo viene tradita. L’idealismo della lotta per un mondo migliore, un mondo nel quale non si fa di tutto per non essere riconosciuti, ma in cui ci si riconosca.
Da ideali che si elevano dal proprio stato di origine e dalla propria condizione per volare sempre più in alto nella scala dei valori umani ad un volo vero e proprio. Siamo a Hervé Le Tellier autore de L’anomalia che in Italia esce con La nave di Teseo. Parafrasando Lev Tolstoj Le Teller scrive “Tutti i voli tranquilli si somigliano. Ogni volo turbolento lo è a modo suo”, in un momento cruciale della labirintica avventura con la quale il romanzo si aggiudica il Premio Goncourt nel 2020. Altra ambientazione, altra atmosfera rispetto a quelle socio-politiche delle due autrici precedenti. Il volo turbolento è infatti il motore della narrazione, perché, a causa sua e di un evento inspiegabile che si verifica mentre il Boeing di Air France sta per atterrare al JFK di New York, tutti i passeggeri dovranno confrontarsi di lì a poco (106 giorni, per l’esattezza) con i loro doppi, ciascuno con un se stesso sbucato dal nulla. I doppi atterrano con tre mesi di ritardo rispetto alle loro identità originali, creando scompiglio non solo nelle vite dei diretti interessati ma anche nella collettività quando la faccenda non riesce più a essere tenuta segreta. L’impianto narrativo è godibile nonostante l’architettura complicata che lo sostiene. Ogni capitolo è l’inizio di una storia diversa, non solo nella trama ma anche nello stile: si passa dal noir alla fantascienza, attraverso il grande romanzo americano. L’umorismo è l’intonazione di voce attraverso la quale Le Teller ci racconta questa storia che per come è stata concepita ricorda con Se una notte d’inverno un viaggiatore di Italo Calvino. Gli esercizi di stile, che pure lo avvicinano al nostro Calvino sembrano mirati a esplorare tutte le possibili storie che l’autore vorrebbe raccontare fino in fondo e che per ora si trova a saggiare e lasciare lì, sospese nel momento cruciale in cui qualcosa di decisivo deve accadere.
Restiamo sempre nel territorio dell’inverosimile con Georgi Gospodinov autore del romanzo Cronorifugio pubblicato in Italia da Voland. Anche la Bulgaria, come la Francia, premia l’impossibile attribuendo a Gospodinov il premio letterario nazionale bulgaro. Protagonista dell’opera è Gaustìn, un bizzarro personaggio che vaga nel tempo come un viaggiatore errante e inaugura a Zurigo una “clinica del passato” dove accoglie chi ha perso la memoria nell’impresa di aiutarlo a recuperare i propri ricordi. Come la ricostruzione perfetta di un set cinematografico, ogni piano dell’edificio riproduce nei dettagli un decennio del novecento. Come già nell’intenso Fisica della malinconia, Gospodinov anche qui srotola verso il lettore un filo che serve a guidarlo nel labirinto. A ogni angolo della memoria – o della perdita di memoria – si spalanca una storia, si aprono inedite narrazioni che sono la storia di un popolo, quella di un uomo o di una bambina, di un libro o di una città (e di città ne fa vivere molte, Sofia, New York, Sarajevo, Zurigo e tutte le altre “città invisibili”). I richiami a Borges sono innegabili e lo stesso autore cita Funes, o della memoria racconto dell’intellettuale argentino nel quale si parla di un uomo che ha la straordinaria capacità di ricordare tutto, ma proprio tutto della propria esistenza. Dono e condanna che mai gli consente di prendere congedo da se stesso e lasciarsi andare a nessuna forma di riposo. Cronorifugio è un’ode al passato nelle sue varie accezioni antitetiche: come ricchezza e come condanna. Ci suggerisce spietatezza nei suoi confronti perché spesso lui lo è con noi, lasciandoci sulla pelle segni che non guariscono. Ma ci rivela che è anche salvezza, in quanto unico tempo possibile, il solo ad assecondare realmente il proprio ticchettio interiore. Da qui il rifugio del tempo, una stanza in cui questi esuli della memoria si possano sentire ancora a casa.
Se il romanzo di Gospodinov è incentrato sulla mente, quello della Aixa De la Cruz fa del corpo il punto di partenza per ripercorrere traumi, cicatrici dell’epidermide e dell’anima. Transito è pubblicato in Italia da Giulio Perrone Editore e, grazie ad una attentissima traduzione letteraria di Matteo Lefèvre, la sua storia rapisce sin dalle sue prime pagine. È la storia di una donna come tante, di un vissuto emotivo intenso che si mescola con gli effetti di ciò che ha lasciato sul suo corpo al suo transito. Gli eventi della vita della protagonista vengono ripercorsi con una precisione chirurgica “l’incidente stradale della sua migliore amica, il rapporto con un biopadre, gli studi e i progetti letterari, l’attrazione e i rapporti complicati con le donne della sua vita, le fotografie del suo tempo con i collettivi, i locali, la femminilizzazione della politica, i fatti di cronaca.” È memoir, è saggistica personale, è ascesa intima verso un inevitabile epilogo. De la Cruz non risparmia le passioni distruttive vissute dal suo corpo nei traumi che lo incidono e che non lasciano scampo, dall’infanzia all’età adulta.
Alcuni tra questi libri sono espressione di vissuti intensi, che passano attraverso esperienze personali. Se una cosa si può evidenziare in questa edizione e nei romanzi che sono arrivati in finale è che mentre i due autori affidano il loro racconto ad una dimensione altra rispetto alla realtà tangibile nella quale siamo tutti calati, le autrici ripercorrono i fatti di una nazione, di un popolo, di se stesse, sfidano le dittature come sfidano la memoria di un passato che le ha incise. Che le ha trasformate. Cercando di riprendersi lo spazio di cui in qualche modo sono state private, attraverso la scrittura.
Nell’edizione italiana erano arrivate diverse autrici in finale, ma lo Strega è andato a Emanuele Trevi col suo Due vite. Chissà se l’edizione europea vedrà una donna sul podio più alto.
La premiazione lunedì 18 ottobre al Circolo dei Lettori di Torino a conclusione del Salone del Libro.
Angela Vecchione
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