Numero 16 | Gennaio-Febbraio 1999

Torino, 19 novembre 1998

 

«L ‘america non è mai stata innocente. Abbiamo perso la verginità sulla nave durante il viaggio di andata e ci siamo guardati indietro senza alcun rimpianto. Non si può ascrivere la nostra caduta dalla grazia ad alcun singolo evento o insieme di circostanze. Non è possibile perdere ciò che si fa fin dall’inizio. La mercificazione della nostalgia ci propina un passato che non è mai esistito.

La vera trinità di Camelot era Piacere, spaccare il culo e Scopare. Jack Kennedy è stato la punta di diamante mitologica di una fetta particolarmente succosa della nostra storia. Spandeva merda in modo molto abile e aveva un taglio di capelli di gran classe.

Jack venne fatto fuori al momento ottimale per assicurarne la santità. Le menzogne continuano a vorticare attorno alla sua fiamma eterna. È giunto il momento di rimuovere la sua urna e illuminare le azioni di alcuni uomini che spalleggiarono la sua ascesa e facilitarono la sua caduta.

Erano sbirri corrotti e artisti del ricatto. Erano intercettatori, soldati di fortuna e cabarettisti froci. Se un solo istante delle loro esistenze avesse imboccato un percorso diverso, la Storia americana come noi la conosciamo non sarebbe esistita. È tempo di demitizzare un’era e costruire un nuovo mito, dalle stalle alle stelle. È tempo di abbracciare la storia di alcuni uomini malvagi e de/ prezzo da loro pagato per definire in segreto il loro tempo.

Dedicato a loro».

James Ellroy

 

Tu fai il produttore, come molti altri artisti, ti va di raccontarmi in cosa consiste il tuo lavoro, in questo caso?

Il produttore… dipende proprio dalle caratteristiche del produttore stesso o del ruolo di competenza all’interno della lavorazione di un disco. Diciamo che ufficialmente quando un discografico, un’etichetta decide di investire su un gruppo, di produrre un disco in termini proprio esecutivi, in qualche modo nomina un produttore artistico che è la figura responsabile di tutto quello che succederà in studio, cioè un interfaccia tra il gruppo e le macchine, la sala di registrazione. Poi lì dipende: ci sono produttori che lavorano semplicemente sulle sonorità, altri che lavorano sugli arrangiamenti, altri che decidono se c’è una cosa che non va a livello anche di testo di una canzone, la si deve cambiare. Diciamo che il produttore è quello che dice a un gruppo che cosa deve fare in sala di incisione, che scandisce un po’ i tempi… e che più che altro illustra le varie possibilità che ci sono in sala di registrazione.

È una specie di regista.

Esatto sì, il regista.

Ti andrebbe di parlare di una canzone, una in particolare, Cose che non ho?

Uhm… penso abbia un sapore un po’ looser, nel periodo precedente il disco ho perso parecchie cose, un po’ perché magari le ho anche volute perdere, un po’ perché forse non le ho sapute gestire, quindi sta un po’a metà fra lo spirito di inadeguatezza nei confronti delle situazioni e il fatto di non volersi invece adeguare, a determinate situazioni, ed è una manifestazione di non appartenenza: sta a metà tra la scelta e il destino. Non so se rende l’idea però.

Leggevo stamattina i testi sul libretto: in almeno tre canzoni compaiono le parole ‘pioggia’ e ‘nebbia’, magari dipendeva dal fatto che le hai scritte di novembre…

Questo di sicuro [ride]. Beh, pioggia o nebbia… l’apologia della nebbia c’è in Giungla nord e dei giorni di pioggia si parla in Preso blu. Preso blu è praticamente un testo che in qualche modo affronta il problema del pregiudizio, della discriminazione, però in un modo assolutamente inedito: ho voluto fare una cosa che non fosse la solita denuncia, il solito slogan antirazzista. E quindi parte da presupposti quasi emotivi. Cerca di andare a monte di tutto quello che può essere poi l’insofferenza nei confronti dell’altro, del diverso. E cerca anche di parlare di quei problemi, di quelle che sono poi le valvole di sfogo dietro le quali nascondere delle cose irrisolte che sono poi sempre personali. Non so perché ho risposto a questa domanda che non mi è stata posta!

In generale non ci sono delle dichiarazioni in questo disco anche perché io tendo a sottolineare che sono l’autore della quasi la totalità dei testi, ma faccio volentieri uso delle cose che Samuel istintivamente mette giù in musica. Ad esempio Cose che non ho non è nata da me, è nata da Samuel che cantava [canticchia] “cose che non ho”. Suonava bene ed era un bell’inizio per arrangiare quel testo. La stessa cosa è successa più o meno per Istantanee: [canticchia] “senza parole”. È una collaborazione che sta a metà fra il testo e la musica con Samuel, che riesce a trovare determinate parole che suonano bene sulla musica, in cui addirittura c’è anche un po’ di germe di significato, di testo.

Anche voi scrivete prima la musica e poi i testi sopra?

lo ho sempre fatto così. Per esempio in Non identificato, che è uno dei testi che ho scritto io testo e musica interamente (come anche Preso blu), avevo l’idea di voler usare il suono dell’ufo della serie Ufo appunto, che è il telefilm a cui sono più affezionato. C’era questo suono bellissimo che apre poi il pezzo. È nata prima l’idea, poi è stata fatta una stesura musicale e poi il testo sopra. Quindi le parole vengono dopo, sì, almeno per ora.

Questo è il primo disco dei SUBSONICA, o c’è in giro qualcos’altro di precedente?

Praticamente nulla perché questo gruppo c’è da pochissimo tempo. In realtà è tutto nato nel ’96, abbastanza a seguito del mio abbandono degli AFRICA UNITE, gruppo con cui ho militato per almeno otto anni.

Ricordo che suonavi con loro.

Ho fatto qualcosa di più che suonarci… nel senso che, a parte che ho prodotto anche i dischi assieme a Madaski, ho scritto anche dei pezzi.

E in seguito a questa cosa qui, mi sono istallato stabilmente in studio a fare il produttore, e contemporaneamente non volevo perdere il fatto di scrivere, anche perché l’ho sempre fatto, per la danza, il teatro, pezzi per i gruppi. Paradossalmente da quando ci sono in SUBSONICA mi devo occupare di talmente tante cose… ma un lavoro così mi sarebbe mancato, proprio l’approccio creativo, la stesura di un pezzo.

Allora volevo ingaggiare un cantante per fare delle cose che incominciassero e finissero in studio, si esaurissero lì. Più collegate al mondo dei campionamenti, questa scena che cominciavo a trovare stimolante e che adesso poi è esplosa, che è la scena dei DJ, che poi da una parte si sviluppa verso il drum’n’bass, dall’altra parte verso il big beat e il chemical beat: persone che si chiudono in studio, davanti ai campionatori e, se può essere, ci passano intere giornate e nottate. Ne vengono fuori delle cose interessantissime. Volevo coinvolgere un cantante perché comunque mi piace sempre collaborare con qualcuno e poi non ho tutta quella gran voce [ride] per cantare, e mi ricordavo di Samuel avendolo incontrato in alcune serate in cui io facevo il tecnico del suono, all’Hiroshima Mon Amour. L’ho visto cantare negli Amici di Roland, insomma potenzialmente aveva una vocalità molto interessante. Suonava anche il Boosta con gli ADR per cui io coinvolgendo Samuel automaticamente ho ‘comprato’ anche il Boosta e abbiamo creato questo nucleo di tre persone. Loro mi hanno convinto a fare il gruppo: io non c’avevo più voglia… sapevo benissimo che per tirare su un gruppo, cominciare a girare, ci vogliono un bel po’ di anni, un sacco di fatica… non sospettavo che tutto quanto si sarebbe svolto in un tempo così breve. Dopo di che mi hanno convinto e io ho pensato facciamo in modo di condensare le tappe e ho sfruttato sicuramente la mia esperienza, i miei otto-dieci anni di musica per riuscire non perdere tempo anche perché loro sono più giovincelli di me, indubbiamente [ride]. Ci sono dieci anni di differenza.

Ti sarebbe mancata l’esperienza live, immagino. Avete suonato molto quest’anno.

Sì, abbiamo suonato tantissimo. Mi diverto… sarebbe stata un’altra delle cose che mi sarebbero mancate. Certo che quando fai 200 concerti in un anno e mezzo, ancora con una struttura provvisoria, senza un impianto, senza i tecnici, cioè sì, abbiamo i tecnici proprio giusto per il suono e per le luci, ma non abbiamo lo staff: vuol dire che tu ogni giorno e ogni concerto che fai, a volte ne fai anche venti di seguito, arrivi lì e sei lì a imbastire la situazione da capo, per cui monti e smonti, carichi e scarichi. Hai a che fare con gente sempre nuova. Quest’anno è stato veramente massacrante, ed è stato molto appagante perché tutto quanto è andato benissimo, e c’è stata una crescita graduale. Tu dove ci hai visti?

A Colonia sonora (a Borgaro, vicino Torino) e al Nuvolari, a Cuneo: a Borgaro le zanzare ci hanno divorato, ma eravamo tantissimi.

È stata una delle punte: c’erano non mi ricordo quante migliaia di persone… si parlava tipo di ventimila persone (!). Poi un’altra punta è stata a Roma, in piazza alla manifestazione del 1° maggio c’erano diecimila persone.

Senti, dal momento che il mio è un giornale che parla principalmente di libri, parlami di qualcosa che hai letto di recente, ti va? Qualcosa che raccomanderesti ai ragazzi.

Guarda, io so benissimo che non è una scusa valida quella di dire non ho tempo perché quando la lettura ti appassiona il tempo lo trovi, e in effetti ultimamente ho segnato un po’ di battute d’arresto. L’ultimo libro che sto leggendo, seppure un po’ in ritardo, nel senso che è uscito da un po’, è quello di Aldo Nove che mi sta divertendo molto.

Un libro che consiglierei ai ragazzi, quello o uno di quel genere, anche se un po’ spesso, un po’ cinico è American Tabloid di James Ellroy: James Ellroy è uno scrittore dal passato molto turbolento, non so bene perché sia sempre stato avvicinato all’immaginario musicale anche se lui non tratta mai di musica nei suoi libri.

Un po’ come Selby Jr.

Esatto. E sono sempre i suoi dei romanzi a sfondo poliziesco, sempre trattati con un certo cinismo: uno stile molto giornalistico il suo. American Tabloid praticamente parla della vicenda Kennedy vissuta in prima persona da quelli che hanno generato l’omicidio, partecipando anche indirettamente alla morte di Kennedy, di tutti i retroscena legati a quella vicenda, ma che poi possono essere presi a misura di qualsiasi retroscena nel mondo della politica, nel mondo del potere e della gestione se vuoi della forza della polizia, i servizi segreti… Una vicenda molto intricata che tira in ballo anche la rivoluzione castrista, è una ricostruzione secondo me assolutamente attendibile e ti dà assolutamente la cifra di come gira questo mondo. lo penso che tutti dovrebbero leggere un libro scritto così.

Poi va oltre il semplice thriller, la ricostruzione tipo il film di Oliver Stone: è proprio dal punto di vista del cattivo quasi, tu nello scorrere queste pagine sei il cattivo [ride], ‘tieni’ per il cattivo. Poi il cattivo naturalmente non è cattivo-cattivo, è una persona che non può fare altrimenti. E ti rendi conto che tu teoricamente dovresti stare dall’altra parte della barricata però se tu ti appassioni a questa vicenda… non puoi. Il libro ha una prefazione che dice… non ricordo esattamente, dovresti andare a cercarla.

Lo farò.

C’è un contrasto che viene mantenuto in tutto il libro fra la figura del presidente, che alla fine si rivela un grandissimo fanfarone, la tipica figura della politica, che alla fine fa strada, e per determinati motivi, mentre viene denigrata questa presunta colomba, quest’innocenza, questa purezza dall’America: forse è proprio l’America criticata in una delle sue icone, spacciate più per pure.

La vostra casa di produzione si occupa anche di cinema?

Purtroppo non è una casa di produzione: mio padre ha sempre lavorato nel cinema, ha pure prodotto un suo film, un lungometraggio Il terreno degli inganni tratto da Garcia Lorca. Io nel cinema ci ho sempre vissuto… però adesso da un po’ di tempo forniamo più servizi, doppiaggi, affittiamo materiale, il che è una cosa più legata al mestiere artigianale.

Torino ultimamente sta diventando particolarmente vivace dal punto di vista cinematografico: penso al Festival Cinema Giovani (festival cinema femminile, festival cinema gay). Forse però più dal punta di vista della cose che ci passano, che non di quelle che si fanno.

Secondo me l’ambiente c’è, fra qualche anno usciranno delle cose un po’ più interessanti di quello che ha prodotto fino a ora Torino. Spero che succeda quello che è successo per la musica.

Da una decina d’anni.

Beh già, sono già una decina d’anni. Praticamente è successo che Torino fosse una delle città più depresse, musicalmente, dal punto di vista delle opportunità: non c’erano modelli, non c’erano possibilità, non c’erano situazioni, strutture, niente, non c’era neanche addirittura la mentalità di andare a suonare fuori Torino, tranne qualche raro caso, né di avere qualche contatto discografico. Ed è successo che… io mi sento abbastanza, chiaramente non posso parlare dalla musica di Torino in senso globale, però dei gruppi che tu hai citato prima mi sento abbastanza una figura, almeno storicamente, fondamentale. Perché in questo studio di mio padre c’era una sala doppiaggi nella quale io ho operato con un registratore e dei mixer con i quali abbiamo cominciato a fare dei dischi. La stessa cosa è stata fatta da Madaski a Pinerolo, e quindi anche i gruppi che non avevano soldi per registrare, senza avere un contratto discografico, potevano registrare, stare qui un mese, due mesi. Lo facevamo per passione. Gli stessi gruppi poi cominciavano a suonare dal vivo, cominciavano a suonare anche tanto, in giro per l’Italia, e piano piano, senza nessun tipo di ausilio esterno, siamo riusciti a creare una scena di quattro cinque gruppi che hanno cominciato a crescere sempre di più.

[Poi chiacchieriamo per un po’ di concerti, venerdì lui andrà a sentire i Massive Attack a Milano. Parliamo anche del ragazzo che ho visto prima in studio, è un tastierista, mi racconta, che mi sembra assomigli un sacco al cantante dei Placebo, e in effetti Max dice che li andrà a sentire di lì a qualche giorno]. Lui ascolta molta musica anni ’80, e siccome io ascoltavo musica anni ’80 quando avevo la sua età ci capiamo benissimo: stiamo lavorando ai suoni del nuovo disco [loro sono i SUSCI, n.d.i.].

Lo studio sembra il laboratorio di un artigiano.

Sì, è sempre stato un grosso cantiere: siamo sempre lì a tirare su e giù pareti, a fare collegamenti, non si bene cosa potrà diventare questo studio, però non c’è altro modo di affrontare le cose, ed è bello che sia così.

Senti, c’è una canzone nel disco ispirata ai quadri di Daniele Galliano [i suoi quadri sono riprodotti anche all’interno del libretto del nuovo CD dei Marlene Kuntz n.d.i.]: chi è?

È di Pinerolo ed è un pittore molto bravo, ha fatto un’esposizione anche a New York recentemente. Il motivo per cui noi siamo venuti a contatto è perché il luogo in cui i Subsonica sono nati, si sono conosciuti, è i Murazzi. Lui ha dipinto moltissimi quadri della vita notturna dei Murazzi, dei paesaggi, delle prime luci dell’alba, con i lampioni ancora accesi. L’abbiamo sentito un po’ come se fosse un ritratto di quello che era il nostro mondo.

È bello che ci sia qualcuno che ritrae il tuo mondo, che lo deposita sulla tela.

Già, e quella è una scenografia bellissima… e, morale, è nato questo blues un po’ stanco, con la cadenza del passo di quando strascichi verso casa, alle sei sette del mattino, magari dopo un sabato sera ai Murazzi. Nicotina Groove ha questa specie di recitato, molto d’atmosfera, in cui si parla della stanchezza di quelle sere-mattine.

Intervista a cura di Barbara Basso

 

Ci sono giorni in cui io non mi riconosco /
volando un po’ pesante /
prendo dentro tutti i vetri /
m’incazzo ronzando
come un amplificatore in paranoia. /
E con un pungiglione intriso di
veleni / cercando un pretesto /
cercando una scusa / affondo i
miei colpi e soffoco la rabbia che grida.
Dentro frenetici momenti di noia.

 

Discografia dei Subsonica (album in studio)

1997 – Subsonica
1999 – Microchip emozionale
2002 – Amorematico
2005 – Terrestre
2007 – L’eclissi
2011 – Eden
2014 – Una nave in una foresta
2018 – 8