Ad un anno dal referendum sull’autodeterminazione, a cui lo Stato si è opposto con violenza, noi catalani continuiamo nella mobilitazione per rendere effettiva la nostra condizione con gli stessi presupposti e gli stessi strumenti con cui l’abbiamo proclamata un anno fa: la partecipazione trasversale, la non violenza e un profondo senso democratico.
(Prefazione di Carles Puigdemont i Casamajó al libro I giorni della Catalogna di Bojan Brezigar).

Omaggi alla Catalogna

Eric Arthur Blair, conosciuto come George Orwell, prende parte alla guerra civile spagnola dal dicembre del 1936 al giugno del 1937 come volontario della milizia del Poum. Nel 1938 descrive il resoconto della sua esperienza nel celebre libro intitolato Omaggio alla Catalogna.

Il regista britannico Ken Loach, noto per la sua militanza in favore delle cause sociali, ispirato dal libro di Orwell, ne trae il film Terra e libertà (Land and freedom). È nota la storia narrata: una ragazza di Liverpool, rovistando tra i ricordi del nonno, ritrova lettere, ritagli di giornale e un fazzoletto rosso contenente una zolla di terra. Un flashback ci riporta al momento in cui il nonno decide di fare i bagagli per unirsi alla milizia internazionale del Poum nella Guerra civile contro le truppe del generale Franco, quando un unico ideale libertario unisce giovani provenienti da tutto il mondo. Alla passione politica che spinge il nonno, come molti altri, ad arruolarsi, si intreccia la passione amorosa per una donna, Blanca, compagna di lotte. Un film che segue la storia di un personaggio, che diviene simbolo di una storia comune. Un film che si conclude con la sconfitta che porterà alla dittatura di Francisco Franco e con la sepoltura del nonno da parte della nipote: Il nostro giorno verrà. Li lasciamo nella terra, ma questa terra ora ci appartiene, compagni! E da qui dobbiamo trarre la forza per continuare a lottare. Perché la battaglia è lunga e sono in molti, però noi siamo molti di più! Sempre saremo molti di più! Il domani è nostro, compagni!
Ed ecco che, in una terra sporca di sangue, sulla quale si avverte più che mai il bisogno di libertà, sulle note di Si me quieres escribir si chiude il film, in una fusione perfetta tra impegno e cuore.

Ken Loach ci dice che c’è un passato che ha bisogno di non essere dimenticato. Il cineasta oggi sostiene la causa catalana, chiedendo la liberazione dei prigionieri politici: i due rappresentanti delle associazioni popolari democratiche, Jordi Sànchez Picanyol e Jordi Cuixart Navarro e i politici democraticamente eletti, Jordi Turull Negre, Oriol Junqueras Vies, Raül Romeva Rueda, Josep Rull Andreu, Joaquim Forn Chiariello, Carme Forcadell Lluís e Dolors Bassa Coll. Ad essi si aggiungono i politici esiliati, Carles Puigdemont i Casamajó, Antoni Comín i Oliveres, Lluís Puig i 2 Gordi, Meritxell Serrat i Aleu, Clara Ponsatí i Obiols, Anna Gabriel i Sabaté e Marta Rovira i Vergés e i politici in libertà condizionata (dietro pagamento di 100mila euro), Meritxell Borràs i Solé e Carles Mundó i Blanch.

Bojan Brezigar, giornalista che vive in prima persona il processo di indipendenza della Slovenia dalla Jugoslavia, indipendenza proclamata nel 1991, scrive un libro essenziale, chiaro e rigoroso, ricco di informazioni e dettagli, appassionante e militante, che aiuta a comprendere la questione catalana da un punto di vista indipendente, non filo-governativo. Un libro di 238 pagine, che si può leggere senza troppa fatica, in un tempo ridotto. S’intitola I giorni della Catalogna, traduzione e note al testo di Laura Castegnaro e Devana Jovan. Qudulibri è la piccola casa editrice indipendente, con sede a Bologna, che l’ha pubblicato, nel 2018. In particolare, Brezigar si sofferma sulle vicende legate al referendum catalano di autodeterminazione e su alcuni significativi eventi successivi: la manifestazione di Bruxelles, le elezioni di dicembre e altro ancora. Sono, inoltre, presenti alcuni contributi: l’introduzione del primo presidente della Slovenia Milan Kučan, l’intervista all’ex ministro degli Esteri della Slovenia Dimitrij Rupel e la presentazione dell’allora ministro degli Esteri della Catalogna Raül Romeva Rueda, oggi in carcere, accusato di ribellione e sedizione.
Proprio come i catalani oggi, gli sloveni ieri si appellarono al diritto, che spetta ad ogni popolo, di votare per l’autodeterminazione. Nonostante le differenze tra la posizione della Slovenia in Jugoslavia e la posizione della Catalogna in Spagna, il percorso verso l’indipendenza lega i due popoli in una relazione di profonda empatia e solidarietà. Il libro di Brezigar riporta anche la petizione di sostegno alla causa catalana, sottoscritta a metà novembre del 2017 da più di tremilacinquecento cittadine e cittadini sloveni.

Democrazia e diritti in Europa: quale futuro?

La Catalogna e la sua capitale Barcellona, certamente non attraversate da sentimenti di lotta secessionista, ma da rivendicazioni di rispetto per la democrazia e i diritti, divengono un caso politico, entrando a pieno titolo nel dibattito sulla democrazia in Europa. Sono molti oggi i cittadini preoccupati per la deriva autoritaria che si può osservare in diversi governi dei Paesi europei, oltre che per l’indifferenza e l’incapacità delle istituzioni di risolvere le crisi che colpiscono i fondamenti della democrazia.
Chiediamo le dimissioni immediate di Antonio Tajani, presidente del Parlamento europeo”, recita un’altra petizione su change.org, la piattaforma online gratuita di campagne sociali. Tale richiesta ha fatto seguito alle dichiarazioni pronunciate da Tajani domenica 10 febbraio 2019, durante la commemorazione per le vittime delle foibe svoltasi a Basovizza – Bazovica, nel comune di Trieste, in Italia. Tajani ha salutato, con enfasi retorica, l’Istria e la Dalmazia italiane, ponendo così l’accento su quelle che sono state le mire territoriali fasciste e attirandosi l’accusa di revisionismo
storico, dato che tali mire di conquista territoriale non dovrebbero più appartenere all’Europa del XXI secolo.
Ai tempi di Franco, quando catalani e catalane cantavano l’Estaca, ci spiega Brezigar, la domenica nelle piazze, dopo aver ballato la sardana, la danza in cerchio catalana, arrivava la polizia, dissipando la folla. L’Estaca è una canzone scritta dal cantautore catalano Lluís Llach nel 1968, durante la dittatura. È un testo narrativo in cui, ancora una volta, è un nonno, l’avi Siset (Narcís), che racconta. Come Ken Loach, Lluís Llach ci narra di un passato che ha bisogno di non essere dimenticato. Narra di persone legate ad un palo, che non riescono a liberarsi dalle catene. Se tutti tiriamo, dice la canzone, il palo cadrà, non può durare molto, il suo legno è marcio! Se io tiro forte di qua e tu tiri forte di là, non reggerà a lungo, è sicuro che cadrà! Cade, cade, cade e noi ci libereremo! I catalani e le catalane cantano ancora, nel 2017, l’Estaca in piazza, e le parole segur que tomba, tomba, tomba i ens podrem alliberar non sono più dedicate a Franco, ma a Mariano Rajoy. Rajoy, il politico responsabile di aver raccolto quattro milioni di firme contro lo Statuto catalano, bloccato poi dalla Corte costituzionale nel 2010. Il responsabile di aver interrotto così qualsiasi possibile linea diplomatica con i catalani e le catalane che, proprio da questo momento, hanno iniziato a scendere in piazza in modo massivo.
L’Assemblea nazionale catalana e Omnium cultural, i cui presidenti Jordi Sànchez Picanyol e Jordi Cuixart Navarro sono anch’essi ancor oggi in carcere, sono stati i soggetti promotori di queste manifestazioni popolari. Dunque non è vero che l’indipendenza è un’invenzione dell’élite politica allo scopo di celare le malandate finanze. Un’affermazione fatta da diversi opinionisti, tra cui Mario Vargas Llosa. Lo scrittore, vincitore del premio Nobel per la Letteratura nel 2010, il 1° ottobre 2017 scrive un articolo intitolato La hora cero (L’ora zero) su El País, un quotidiano di tendenza
socialista che però, riguardo alla Catalogna, si è rivelato più radicale dei giornali di destra. Il sottotitolo dell’articolo è: L’indipendenza della Catalogna sarebbe una tragedia per la Spagna e la Catalogna stessa, la quale cadrebbe nelle mani di populisti che la porterebbero nel baratro. Ricordiamo che lo scrittore peruviano in passato è stato sostenitore di Fidel Castro, ma poi ha preso le distanze dal leader cubano per avvicinarsi al neoliberalismo; nel 1990 si è presentato alle elezioni presidenziali in Perù candidato per la destra e ne è uscito sconfitto; si è poi trasferito in Spagna, ha acquisito la cittadinanza spagnola ed è stato, nel 2008, tra i primi firmatari del Manifesto per una lingua (spagnola) comune. È questo un documento contro la valorizzazione delle lingue minoritarie: catalano, basco e altre. Nel 2011 il re spagnolo lo ha insignito del titolo di marchese. Brezigar sottolinea invece come l’indipendentismo catalano sia la conseguenza di un sentimento di insoddisfazione nato tra la popolazione a causa dell’atteggiamento della Spagna nei confronti della Catalogna. L’Audiencia Nacional, invece, responsabile dell’arresto dei due leader indipendentisti, è sì un tribunale politico, istituito per mezzo di decreto reale dopo la caduta del regime franchista il 4 gennaio 1977, proprio lo stesso giorno in cui viene sciolto il tribunale per l’ordine pubblico, attivo durante la dittatura di Franco.

A lezione di fermezza, solidarietà e dignità in Catalogna: volem votar i votarem!

È passato un anno dal referendum sull’indipendenza in Catalogna (1° ottobre 2017), al quale il governo spagnolo si è opposto con minacce, divieti e con l’uso della violenza, arrivando a intervenire con forza contro i propri cittadini che chiedevano, in modo massivo, ma pacifico, di esercitare il diritto di autodeterminazione e di tenerne in considerazione il risultato a prescindere dall’esito. L’intervento violento della polizia è avvenuto alla scuola Ramon Llull di Barcellona: manganellate, percosse, spari di grossi proiettili di gomma, cariche ripetute verso chi ha fatto resistenza pacifica, sedendo a terra in difesa del seggio. È avvenuto a Sabadell, 40 chilometri a nord di Barcellona, dove ha votato la presidente del Parlamento catalano, Carme Forcadell, anch’essa oggi in carcere: manganellate, spari di proiettili di gomma, rottura di porte e finestre per mezzo di grandi martelli, distruzione di una spessa lastra di vetro a fianco della porta d’ingresso,
devastazione della scuola, distruzione di tutte le porte, perfino di quelle dei bagni. Oltre a ciò, Brezigar ricorda le violenze psicologiche, costituite dal sabotaggio informatico, messo in atto per osteggiare il voto democratico, e dal sequestro delle urne elettorali. L’autore ripercorre le tappe dei giorni del referendum, a partire dalla grande manifestazione per il referendum avvenuta a Barcellona giovedì 28 settembre 2017. Una manifestazione pacifica: nessuna violenza, nessun danno alla città, solo una ferma determinazione e un martellante: volem votar (vogliamo votare) e
votarem (voteremo)! E di fatto, nonostante l’intervento della polizia spagnola, due milioni e duecento mila catalani sono andati a votare, il novanta per cento dei quali si è dichiarato a favore dell’indipendenza. Alle spalle del referendum i catalani hanno inoltre sette anni di manifestazioni di massa e hanno partecipato ad una catena umana di quattrocento chilometri, costituita da circa due milioni di persone, che ha circondato la Catalogna dal confine francese alla Comunità valenciana.

La società catalana è portatrice di tre consensi importanti che sono indigeribili per la società spagnola; circa l’80 per cento della società vuole un referendum legale di autodeterminazione, vuole la liberazione immediata dei prigionieri politici e il ritorno degli esiliati, e condanna l’uso
sproporzionato della forza da parte della polizia (e del sistema giudiziario) per impedire il referendum dell’1° ottobre del 2017.
E il libro di Bojan Brezigar vuole rappresentare un omaggio alla Catalogna. Un nuovo omaggio. Un omaggio sloveno questa volta. Mentre concludo l’articolo, mi si illumina il cellulare e leggo il messaggio: “Catalans!! Tots a votar partits independentistes el dia 28!” E, alla vigilia delle elezioni in Spagna, mi torna in mente che alle elezioni regionali del 21 dicembre 2017, in Catalogna, i partiti indipendentisti hanno ottenuto 70 seggi in Parlamento, quelli del blocco unionista 57, con un’affluenza del 82 per cento. Risultato abbastanza significativo dell’orientamento dei catalani, se consideriamo anche che le elezioni sono state indette da Rajoy dopo i fatti dell’1° ottobre del 2017, l’attivazione dell’articolo 155 della Costituzione, lo
scioglimento del Parlamento della Catalogna, la destituzione del governo e quindi con i due principali candidati pro-indipendenza di fatto eliminati in corso di campagna elettorale, essendo l’uno (Junqueras) in carcere e l’altro (Puigdemont) in esilio.
Previsioni per il futuro è difficile farne, ma è certo che, nonostante tutti i possibili deterrenti, i catalani hanno dimostrato alle urne di non farsi intimidire e di non essere disposti a tornare indietro, come recita il motto catalano: ni un pas enrera! Ed io credo che i catalani continueranno ad agire come sempre, in modo deciso, democratico, dignitoso, pacifico.

Stefania Sònia Buosi Moncunill