Mi sono accostata alla scrittura di Muovimi il fiato di Annalisa Mercurio con la delicata levità con cui si porge lo sguardo ad un neonata già familiare eppure ancora raggomitolata nella sua nicchia, per scoprirne la placenta trasparente di semplicità, il nome misurato in minuscoli tratteggi pastello, l’ordine mansueto di un giardino nell’ora in cui il crepuscolo si mesce alla luce e inizia a giocare.

La meraviglia si distende placida nelle pause tra i punti e le virgole, gli spazi bianchi giacciono dimezzando il foglio in una posa plastica, sapiente, in divenire. 

Ho sentito campane, greggi, isole, e l’armonia del verso danzare nuvole sacre, costruendo una geometria perfetta, che incontra le spine senza stridori, e sanguina in silenzio.

Senza l’amaro del disincanto, senza l’offesa dell’urto, la scrittura di Annalisa è acqua balsamica e vapore magico, eletto e naturale, disegna vele chiare senza bruma, («È il diluvio dei sensi / sulla cucitura del labbro, / in silenzio tra me e il mare»), conquista senza ferire mondi sotterranei che non hanno bisogno di palcoscenici, è un’asola densa che cattura il suo sentire: un sentire che ci accomuna in un passaggio nelle sale della purezza. Non graffia eppure lascia il segno, forte, di sé, delle sue inerpicate sui chiodi, del suo mettersi in viaggio alla ricerca dell’amore. Ci tocca. Da vicino. Nell’anima. Ci spacca e ci ricuce. Non si rassegna al vuoto che rinsecchisce.

Lontananza che avvicina, terra fertile picchiettata di sensi e sguardi di vita, in Annalisa Mercurio tutto è uno scorrere silenzioso e rotondo di solitudine che resta, pregno di anima e possenza, grandi ali, mani fluenti, frecce di luce, infiniti racchiusi in una bolla che incanta, fino alla fine, in una sospesa attonita leggiadria che accoglie.

«Qui, invece s’involano i gabbiani / e se chiudo gli occhi spargono fiori / su muschi lontani».

Il dolore diventa gemmazione, fiato, lingua, sale («Piega questi occhi carichi di terra / e bacia il fianco dolente / che s’accinge la costola a rigettare»), e in fondo l’amore, sempre l’amore («Lega le mie parole al tuo pensiero: / crea una lingua nuova e benedici l’unione. /Fammi rinascere desiderio, / mal celato tra le tue labbra»).

Muovimi il fiato è un campo arato con spighe colme, pronte al sole. «(R)accoglierai nodi di parole / per quello che sono: / sassi sulla strada. Li calpesterai, o li porterai in tasca / ne farai piramidi sulle tombe / o li metterai sotto la lingua per non balbettare;».

Noi, attorno a quei nodi, abbiamo fatto il fuoco e ci scaldiamo dalla bocca al cielo mescolandoci all’ascolto con il respiro che diventa arteria, assaporando tutta la bellezza del sentire sottovoce. Così, tra pause e gocce. 

Ricominciando ogni volta, con lo stesso sguardo colmo di adesso, una poesia che mantiene con coerenza le sue promesse, le sue altitudini.

Brava Annalisa. Davvero brava.

Poesie scelte

Un calamo tra le dita e un abito di seta;
non so come chiamarti, amore mio.
Rimbalzo sul sasso e mi disperdo.
Sapessi il luogo dove andrò a evaporare
verrei a cercarti,
ma non posso toccare
e non so come chiamarti, amore mio.
Morbida curva di pietra m’infrange
nell’amaro che lasci sulla lingua.
Mi perdo nel gusto d’uva
del tralcio inaccessibile.

*

Non lasceremo altro che pallide radici
in una terra madre e padre,
figlia di nessuno.
Dei fiati non resteranno che particelle di ti amo,
addio, forse, dopo, mai più

Seccherà il sale dei nostri occhi
e s’asciugherà il vibrato delle corde in gola.
Tornerò per baciare mani e palpebre
a chi raddrizzerà lo spazio bilanciato dei corpi,
a chi raggomitolerà il filo – svuotato a terra –
a chi ricomporrà curve di sabbia
e riordinerà i sassi raccolti
per giocare a essere sicuri.

*

Prima di partire
ho steso l’ombra sulla sedia fronte mare
– tre sillabe sulle labbra, tre sul cuore
e infine sulle ciglia.
Tra le dita una fune
e l’illusione di trattenere il salvagente
nel caso in cui prendessi il largo.
Attende il rientro delle barche al tramonto.
Non sa quali.
Attende.

Carmela Laratta

Potresti leggere anche:
Feriti dall’acqua
Soglie vietate
Loriana d’Ari – silenzio, soglia d’acqua