“Quando torni nel mondo, del mondo ti devi fidare.”

È questo il mantra che accompagna il ritorno alla vita di Angelantonio Poloni, il protagonista e voce narrante del secondo romanzo di Stefano Redaelli Ombra mai più edito da Neo Edizioni.

Angelantonio ha trascorso gli ultimi tre anni della sua vita presso la struttura di riabilitazione psichiatrica la “Casa delle Farfalle”, e qui, animato da passioni letterarie, ha “affiancato la scrittura alla terapia farmacologica e socioriabilitativa”, il ché gli ha permesso, da un lato, di intessere relazioni di condivisione, fiducia, amicizia con i pazienti, e dall’altro di guarire dall’isolamento psicotico in cui la malattia imprigiona.

Ombra mai più, tuttavia, non è esclusivamente un romanzo sulla follia e sul potere salvifico della lettura e della scrittura quanto più un romanzo che vuole vincere lo stigma della follia stessa, parlando del tortuoso cammino di rinascita e di una ardua quanto necessaria riabilitazione in un mondo di ombre e contraddizioni, sottolineando l’importanza del concetto che è alla base di tutto questo: prendersi cura.

Tra le pagine, infatti, si evidenziano legami fragili e potentissimi come quello espresso dal racconto della quotidianità dei genitori anziani di Angelantonio, i sentimenti che legano quest’ultimo a Marta, agli altri pazienti e alla dottoressa così come l’amicizia scomposta e impacciata del protagonista con il giovane Rami.

Rapporti sorretti da una tenerezza che accompagna tutto lo sviluppo della vicenda nella quale si snoda anche un’amarezza pungente dovuta alla consapevolezza che il tempo scorre, gli anni passano, le fragilità si disvelano dimostrando come le paure e le ombre di ognuno, spesse e minacciose, arrivino finanche a sovrastare la bontà del singolo, gettando sconforto in un presente che aliena, confina, ghettizza chi proviene da un passato di non facile comprensione.

“Avevo capito che ogni cosa, ogni persona, oltre alle radici, ha un’ombra. Le radici sono la parte nascosta, profonda, bella. L’ombra è il buio che esce dalle cose, dalle persone. E si proietta su quello che le circonda, le oscura. L’ombra è brutta, inquieta.”

Redaelli, con una scrittura strutturata sul binomio malattia-amore e un linguaggio dolce scevro da pregiudizi, parla una lingua universale, calda come un abbraccio, accogliente come un luogo felice e, al contempo, sottolinea una sfida densa di coraggio e volontà: continuare ad avere fiducia sebbene attraverso le paure e gli sconforti del suo Angelantonio evidenzi “il calvario della sanità”, l’errore madornale “dell’essere guariti” perché per i folli, ritornare al mondo, è una sfida di accettazione continua.

“Manca l’altra metà della verità (..) Che il mondo, al contrario, è socialmente pericoloso. Costituisce un pericolo costante per quelli come me: le colombe, i cerbiatti, i folli.”

Sopravvivere allo sconforto, trovare strade alternative diventa slancio vitale e proficuo. In tal senso il ridipingere casa acquisisce una valenza metaforica di estrema rilevanza. Angelantonio compra tutto ciò che occorre per far sì che le pareti della sua abitazione, e insieme del suo passato, tornino al bianco. Tinteggiare le pareti, difatti, significa spostare i mobili, togliere tutto e rimettere a posto: rivalutare ogni cosa da un’altra prospettiva.

“Preparare vuol dire innanzitutto svuotare.”

Angelantonio si adopera fisicamente e psichicamente a ricominciare e non lo fa da solo ma con Rami, condividendo una speranza, un sogno di redenzione che pur partendo da radici differenti punta allo stesso cielo.

Consiste in questo e in nient’altro di diverso l’aver cura: in una visione del mondo più aperta, attenta all’individuo e nient’affatto confinata a stereotipi.

Quanto emerge tra le righe è che prendersi cura dell’altro (e assieme di sé stessi) è coesistere nella propria autenticità traslando, così, il pensiero di Heidegger per il quale l’esistenza si concretizza nell’essere nel mondo e quindi essere tra gli altri.

Aver cura diventa, dunque, il tendere la mano in maniera responsabile mettendo in gioco nel tempo la propria progettualità rivolta al futuro: fare, continuare, cambiare, dare valore alle proprie azioni, accogliere il passato facendolo diventare un ponte verso il nuovo.

Radaelli suggerisce mille modi per farlo: l’amore, l’attesa speranzosa e costruttiva, uno sguardo benevolo, una mano tesa, i libri, il silenzio e la scrittura utili entrambe a ridurre “il rumore di fondo che avvolge le parole”, l’interesse costante alla ricerca della verità.

Perché prima di ogni altro legame: “A un uomo spetta sposarsi con sé stesso. Che vuol dire innanzitutto essere onesto.”

Un romanzo tenero e necessario che abbraccia e accoglie, raccontando quanto e come sia possibile risorgere dal passato e dal proprio inalienabile dolore.

Lorena Carella

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