Sono una lettrice onnivora, posso passare dalla lettura frenetica dei quotidiani, compresi gli articoli sportivi, e dei settimanali – femminili e non -, a William Faulkner. Saltare dopo tre pagine ad un libro per ragazzi o ad un fumetto tipo Cream Lemon, dai raccontini di Lucarelli ambientati sull’autostrada alle pagine sempre così dense del Diario della Settimana. Riviste sulle Arti marziali, sull’oroscopo o sulla meditazione tibetana, insetti dei quotidiani su salute, motori o economia, niente riesce a sfuggire alla mia ingordigia. Però, lo ammetto, oltre che una lettrice onnivora, sono una lettrice annoiata. Non è raro che un romanzo, dopo solo tre pagine, finisce sullo scaffale di ‘quelli che prima o poi mi verrà voglia di finire’ e ci resti per sempre. Non sono certo di quelli che si costringono alla lettura perché lo sforzo ripaga’. Io la Recherche di Proust l’ho letta tutta perché mi divertivo, e anche Stendhal, ma piuttosto che leggere fino alla fine Guerra e Pace o Anna Karenina, vado avanti a scatole di detersivo.
Tutto questo per dirvi che è davvero difficile che io – è e credo sia così per tutti – incontri un libro, una lettura, che davvero riesca a tenermi lì, con tutti i sensi all’erta, dalla prima all’ultima pagina. Però, ogni tanto accade. Come l’amore. Con la differenza che l’amore finisce e i libri no, i libri sono sempre lì e quando li riapri vibrano di nuovo, in modo diverso dalla prima volta, ma sempre vibrazione è.
L’ultima volta che mi è accaduto è stato poco tempo fa, e il libro, anzi, i libri, visto che sono tre romanzi riuniti in un unico volume, è La trilogia della città di K, di Agota Kristof. Di A. Kristof era uscito ranno scorso, sempre per Einaudi, Ieri, un romanzo breve, bello ma non certo al livello di questi tre, che sono un capolavoro.
C’è una città in guerra e sappiamo che è una città dell’est, (A. Kristof è ungherese) ma non che città sia di preciso. E ci sono due gemelli che la madre porta in salvo e lascia alla nonna, in un cittadina di campagna dove l’eco della guerra arriva, ma la devastazione ancora no. Il primo romanzo, tradotto col titolo Il grande quaderno (era già uscito con il titolo Quello che resta, Guanda 1988) è la storia dell’educazione che i due gemelli si impartiscono l’un l’altro nella totale solitudine affettiva di un mondo in disfacimento. Un’educazione alla vita che passa attraverso il dolore: il suo riconoscimento, l’accettazione, il superamento. Il Grande quaderno è quello sul quale i due gemelli ricopiano in bella i loro esercizi di scrittura, i loro temi. Da soli si costruiscono un’organizzazione della vita che comprende studio e lavori dì fatica. Imparano l’orrore, l’attraversano. Conoscono tanta gente in questo cammino, tanti simboli del dolore: la ragazza col labbro leporino che va con tutti gli uomini, il prete pedofilo, i due soldati tedeschi omosessuali, la bella fantesca che li fa giocare col suo corpo. Nel secondo romanzo, La Prova, resta solo uno dei due fratelli, ma l’altro, siamo certi che sia davvero esistito, oppure era soltanto il sogno dì un bambino troppo solo? Nel terzo, La terza menzogna, le carte si ribaltano di nuovo: i gemelli sono due davvero – anche se il dubbio rimane – ma si sono scambiati i nomi. Chi è Lucas e chi è Klaus, e perché non sanno più riconoscersi?
Agota Kristof riesce a parlare della Storia – quella grande davvero, quella che come un soffio leggero vola sopra le nostre teste e sembra quasi non esistere, e che invece con un turbine improvviso può spazzare via tutto – ma senza farlo pesare al lettore. I grandi fatti non entrano in modo netto in questi romanzi, entrano in un modo diverso, come conseguenze. Quello che vediamo non è la guerra, ma quello che la guerra ha fatto agli uomini e ai paesi, cosa li ha fatti diventare, cosa si è portata via e cosa ha lasciato. Cosa resta, dopo.
Durante la lettura di queste pagine, di tanto tanto ho dovuto smettere. Chiudere il libro e gli occhi e respirare. Ho anche pianto. Ci sono due o tre punti che non possono passare sotto gli occhi senza incidere dentro. In questi tre romanzi c’è tutto il senso della vita. C’è l’amore, c’è il dolore. C’è soprattutto questo grande insegnamento che il dolore è ineliminabile, che non può essere messo da parte con un gesto leggero, come quello che si fa per scacciare via una mosca. Bisogna guardarlo in faccia, addestrarsi a sopportarlo. Imparare a non farsi annientare, a resistere.
Tutto raccontato con una lingua secca che non lascia spazio alla facilità degli aggettivi, alla musicalità delle frasi. La vita non è fatta di sogni, la vita sono i fatti, le azioni. E questo, è un libro d’azione. Siamo noi a riflettere. Agota Kristof si limita a mostrare quello che i personaggi fanno, a farci sentire quello che dicono.
C’è un pezzo, ne La Prova che mi sembra importante per capire di cosa parlano queste pagine. Dice così:
– Come fare adesso?
– Come prima. Bisogna continuare ad alzarsi al mattina, ad andare a letto la sera; a fare quel che bisogna fare per vivere.
– Sarà lunga.
– Forse tutta una vita.
È rileggendo questo passo che ho capito che cosa voleva dire una mia cara amica quando affermava che questo libro è una sorta dì vangelo laico. Non esagerava.
Simona Vinci
Il libro nel 1998
Agota Kristof
TRILOGIA DELLA CITTÀ DI K
Einaudi 1998, pp. 379
L. 32.000
Oggi in libreria
Agota Kristof
Trilogia della città di K.
Einaudi, 2014
Collana: Super ET
384 p., brossura
€ 13,00
E tu cosa ne pensi?