Per una lira è il titolo di una canzone di Lucio Battisti che comincia così: Per una lira io vendo tutti i sogni miei. E poi la voce a strisce di Battisti racconta la storia di qualcuno che a malincuore si distacca da una parte di sé. Ascoltandola, ho sempre pensato a chi scrive. In particolare agli esordienti. Chi, per la prima volta (e spesso per una lira) consegna il proprio destino al mondo. Nell’incertezza e nell’imprecisione, un esordio insegna a scrivere più di un capolavoro (anche quando le due cose coincidono: David Foster Wallace, La scopa del sistema, 1987). Per una lira è uno spazio dove leggendo le nuove voci della narrativa, italiana e straniera, metteremo in luce alcuni aspetti di un romanzo legati al gesto dello scrivere per la prima volta, ovvero alla scoperta della propria voce.

Alessandra Minervini, scrittrice, editor e writing coach. Il suo primo romanzo si intitola Overlove, LiberAria 2016. Il suo sito è alessandraminervini.info. Qui gli articoli pubblicati su exlibris20.


Carlo Bertocchi, Mezza luce mezzo buio, quasi adulti, Terrarossa Edizioni 2020

Bert e la sua banda vivono la loro ultima estate prima delle superiori con l’adrenalina di sapere che nei campi delle loro scorribande c’è un assassino, con l’eccitazione di qualcosa che sta per finire e altro che deve iniziare. Intanto però c’è da fare i conti con Billy e i suoi scagnozzi e da capire come resistere alle lentiggini di Matilda: sono questi i problemi che assillano il protagonista, per lo meno finché un incontro inatteso e temuto lo costringerà a scelte irragionevoli dalle rischiose conseguenze.
Un romanzo dallo stile impertinente e ironico che racconta quelle emozioni e quei turbamenti che appartengono alla stagione luminosa e irripetibile che precede l’età adulta.
https://www.terrarossaedizioni.it/


Lezione n. 21

Il Ritmo Narrativo

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“Era la tremenda estate del 1989, quella che ci si appiccicò addosso. Tirava la pelle come il fango che si seccava tra la prima peluria delle gambe. La scuola era finita da poco e il paese sembrava uscito da un film western.”

I protagonisti dell’esordio Mezza luce mezzo buio, quasi adulti di Carlo Bertocchi sono, come racconta il titolo, quasi adulti. Dentro quel quasi c’è tutta l’importanza del romanzo (che consiglio di leggere subito). C’è l’estate torrida e ci sono gli anni Ottanta. C’è la giovinezza, la paura di crescere, la voglia di diventare adulti, le lentiggini, c’è il primo amore, la musica dei Clash, la provincia meccanica, lo scazzo, l’entusiasmo, le all star rosse, i campi di mais, lo scooter. Ma c’è ancora tanto altro. E poi, soprattutto, c’è Bert.

Ero convinto di essere un tipo sveglio ma lampi di genio e figure da sfigato si mescolavano nelle mie prestazioni, a scuola come con gli amici. Ero ansioso di piacere agli altri anche se nessuno mi contraddiceva perché ero il figlio della preside: al momento mi bastava ma sapevo che non poteva durare. Cercai qualcosa nel cervello che mi salvasse, ma era tutto buio e faceva un contrasto doloroso col sole a picco.

La casa editrice pugliese TerraRossa pubblica Bertocchi nella collana degli Sperimentali, mostrando di essere attenta al talento in crescita di chi sa scrivere e continuerà a farlo. Così sarà dopo l’esordio di Bertocchi esattamente come è stato per gli esordi dei quali questo romanzo è un ottimo discendente: Jack Frusciante è uscito dal gruppo di Enrico Brizzi, Alla grande di Cristiano Cavina e Una posizione scomoda di Francesco Muzzopappa.

Bert e la sua banda di amici sono gli adolescenti protagonisti del romanzo. Trascorrono l’ultima estate, prima delle superiori, con l’adrenalina dappertutto: in cuor loro sentono che la spensieratezza sta per diventare un fatto sempre più raro e ci danno dentro, come si dice, a urlare al mondo che anche loro esistono. Quella dell’89 è un’estate particolare anche per una scoperta bizzarra e angosciante nello stesso tempo: nei campi della Bassa, scenario privilegiato delle loro scorribande, si nasconde un assassino. I ragazzi proveranno a farsi garanti, con tutta la tenera goffaggine del caso, di un evento che pur essendo più grande di loro, stranamente non li spaventa. Il tumultuoso percorso di crescita dei quasi adulti non passa dunque solo attraverso le peripezie adolescenziali in motorino ma incrocia una sottotrama noir che coinvolge un omicida albanese in fuga in cerca di aiuto proprio nel paesino romagnolo dove è ambientata la storia.

Potevamo fare quello che ci pareva, gli adulti erano ancora al lavoro e quelli in divisa spariti: le macchine di vigili e polizia partivano presto la mattina e rientravano tardi la sera. Nessuno ci rompeva le scatole per i motorini elaborati. Stavano nelle campagne a cercare il tipo dei tg e a noi andava benissimo così.

Se c’è un aspetto peculiare per cui il romanzo merita ammirazione, questo aspetto è il ritmo narrativo. Il ritmo dà proprio una forma ben riconoscibile alla storia e alla voce dell’autore. Un ritmo, nel suo incedere lento/veloce e pieno/vuoto, che consente di entrare nelle pagine in un baleno, restandone attaccati anche quando la storia è finita. Non è semplice mantenere il ritmo di una pagina in maniera coerente e capace, senza perdersi nel manierismo, cioè dando sfogo alla maniera e allo stile più che al senso. Invece le frasi, i dialoghi, i pensieri, le descrizioni insomma le parole di Bert e dei suoi amici riproducono il suono del contesto e delle voci dei personaggi. Bertocchi scrive pagine piene di vitalità, proprio come il suo protagonista. Quando il ritmo di una storia risulta efficace sono giuste le parole scelte per raccontarla. Trovare le parole giuste significa mettere in gioco la voce del narratore. Una voce che qui è coinvolgente, una prima persona che non sbrodola, non indica il senso e le scelte con il ditino. Bert, il narratore, illumina ogni cosa. Esemplare a questo proposito, tutto il capitolo 10, nel quale ogni battuta di dialogo, perfino il silenzio, vive di luce propria, grazie ai movimenti delle scelte lessicali di chi narra. Un po’ arrabbiato, un po’ abbacchiato e un po’ tenero entra a pieno titolo tra le voci degli autori che prediligo: “quelli che mi lasciano proprio senza fiato sono i libri che quando li hai finiti di leggere e tutto quel che segue vorresti che l’autore fosse tuo amico per la pelle e poterlo chiamare al telefono tutte le volte che ti gira”. Per dirla con Holden, di cui Bert è certamente un fortunato erede.

Incrociai lo sguardo di lei e fui sicuro che ci fissammo per almeno tre secondi. I fatidici Tre Secondi. Avevo ancora qualche difficoltà a comprendere quella regola, ma i miei amici più preparati in fatto di donne mi avevano ripetuto allo sfinimento: se una tipa ti sluma per tre secondi o più, è evidente che ne voglia.

Non sono poche le persone che scrivono senza avere il senso del ritmo, soprattutto quando si tratta del primo romanzo. Non sono poche nemmeno quelle che non se ne preoccupano nemmeno, del ritmo della propria storia. Il ritmo narrativo si fonda su due elementi: la punteggiatura e i dialoghi. La punteggiatura ha la funzione dei segnali stradali. Indica una direzione, obbliga alla sosta, allerta della presenza di strade senza uscita. Fermare un pensiero con un punto non è la stessa cosa che lasciarlo fluire in mezzo a una circonvallazione di virgole. Dirigere le soste è un fatto di allenamento: bisogna leggere e rileggere il proprio racconto. Un trucco è farlo a voce alta per sentire il respiro di una frase, per riconoscere la forza di un gesto narrativo. Un punto non solo chiude un discorso, indica il rapporto di tempo e di causa con il punto successivo. La punteggiatura è una questione di stabilità e di utilità narrative che determinano la chiarezza di un discorso.

La punteggiatura è una convenzione con regole talmente ferree che l’istinto di chi scrive è trasgredirle. La trasgressione può essere una buona regola se si mostra al lettore il volto delle parole. Bertocchi scrive un racconto che si snoda repentino, azione su azione, e svela, con rara capacità, un universo nitido di immagini, ritratti, bozzetti dell’universo adolescenziale e del suo cuore di provincia.

“Dall’acquazzone del giorno prima il tempo era cambiato. Guardando intorno e in alto, il blu era una distesa uniforme, ma che l’estate stesse terminando era chiaro anche dalle locandine con la programmazione dei cinema. L’ultima proiezione all’aperto sarebbe stata a breve, con una bella scazzottata di Bud Spencer e Terence Hill: il prete sapeva il fatto suo per attirare giovani leve alla casa di Dio. Il cine-circolo della FGCI invece era come sempre nel trip intellettualoide, aveva in programma per la prima al chiuso la solita mattonella in bianco e nero”.

Piccola bibliografia per chi vuole scrivere
Il ritmo narrativo



ENRICO BRIZZI, Jack Frusciante è uscito dal gruppo, Mondadori 2017
CRISTIANO CAVINA, Alla grande, Marcos y Marcos 2010
FRANCESCO MUZZOPAPPA, Una posizione scomoda, Fazi 2013
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