Raccontare l’opera di Eugenio Montale in qualche riga senza citare nemmeno un suo verso? Difficile.
Proviamoci partendo da una costatazione che mette tutti d’accordo. Eugenio Montale (1896-1981) è il più importante poeta italiano del Novecento. Le ragioni? Tantissime. La bellezza, la ricchezza e la varietà della sua opera, che è stata in grado di rinnovare la tradizione poetica italiana attraverso una rielaborazione originalissima di modelli europei. Il coraggio di definirsi antifascista negli anni Trenta, quando, insomma, non era una mossa senza pesanti conseguenze. L’aver raccontato alcune fasi cruciali della storia italiana, come la Seconda guerra mondiale e il boom economico. La vincita, nel 1975, del premio Nobel per la letteratura, la nomina a senatore a vita, il privilegio di essere stato l’unico poeta a veder allestita un’edizione critica dei propri versi mentre era ancora in vita. Le ragioni, anche istituzionali sono tante, ma ce n’è una che forse vale più delle altre: la sua centralità nel canone poetico contemporaneo. Non c’è poeta successivo a Montale che non abbia aggiustato la propria bussola a partire dalla sua poesia. Nella generazione di poeti nati dopo Montale (giusto qualche nome fra i più importanti: Sereni, Luzi, Zanzotto, Caproni, Giudici, Fortini) l’influenza – sempre dialettica e persino duramente critica – di questo grande maestro è fondamentale per l’elaborazione di una voce poetica originale. Certo, oggi la scrittura di Montale, soprattutto della sua poesia giovanile, è un modello ormai classico, perciò non più praticabile. Tuttavia, la sua poesia resta ancora un punto di riferimento importante per molti poeti, anche degli ultimissimi anni.
Un lungo preambolo per cercare di render conto sinteticamente dell’importanza di questo grande poeta. Ma che cosa ha scritto? Sette libri di poesia, alcune traduzioni, un libro di racconti, tantissimi saggi, articoli e recensioni. Ha anche dipinto molti quadri (ma non sapeva maneggiare il pennello tanto bene quanto la penna…). Per orientarsi nell’opera poetica di Montale (limitiamoci alla poesia!), si può cominciare dividendola in due grandi fasi: la prima (1925-1956) comprende i suoi primi tre libri (Ossi di seppia, Le occasioni, La bufera e altro), la seconda (1966-1980), più prolifica, le sue ultime raccolte (Satura, Diario del ’71 e del ’72, Quaderno di quattro anni, Altri versi). Nel 1925 Eugenio Montale è un giovane intellettuale autodidatta, figlio della buona borghesia genovese, avviato controvoglia agli studi di ragioneria; ha studiato canto per essere baritono, strada però abbandonata dal timido Eugenio per paura del palcoscenico.
Il giovane è un lettore eccezionale in grado di formarsi sulla migliore poesia e filosofia straniera, inizialmente francese, poi sempre più anglosassone. Il poeta scrive un libro straordinario, Ossi di seppia (1925), un viaggio identitario dall’infanzia alla vita adulta. La crescita avviene grazie al continuo confronto col paesaggio (ligure) e con i suoi elementi naturali. Le tecniche poetiche sono innovative: il simbolismo francese filtrato attraverso la recente tradizione italiana (uno su tutti, D’Annunzio, ma non solo), una lingua poetica originale che mescola con sapienza lingua letteraria e quotidiana, una metrica che nella sua innovazione profonda riesce a mantenere un’andatura classica. Tale ricerca espressiva si situa pienamente in quello che viene chiamato il modernismo europeo: Joyce, Eliot, Woolf – per intenderci.
Il percorso originalissimo prosegue nella seconda raccolta, Le occasioni (1939). Molte cose sono cambiate: Montale è ora un intellettuale affermato che vive a Firenze, frequenta le élites culturali del periodo ed è direttore di un’importante istituzione culturale fiorentina. Ha una difficile vita sentimentale, diviso fra un tormentato amore clandestino (Irma Brandeis, intellettuale statunitense) e una compagna da cui non sa staccarsi (Drusilla Tanzi, sua futura moglie). Il fascismo è sempre più opprimente, e Montale – antifascista – perde il lavoro, la guerra è alle porte. In questo clima difficile nascono Le occasioni, un libro rifugio, in cui il poeta cerca di sublimare l’orrore in un utopico progetto letterario. Il libro, con un linguaggio classicista, sostenuto, ma incredibilmente moderno, vuole ricostruire un’alta Repubblica delle Lettere. Faro morale è la figura femminile, nascosta da un anonimato dietro cui si cela soprattutto Brandeis. A lei sono dedicate alcune delle più straordinarie poesie d’amore del Novecento. Il libro viene pubblicato sul limitare della catastrofe: la guerra, la perdita del lavoro e la partenza definitiva di Brandeis, ebrea, negli Stati Uniti.
E la guerra e il distacco saranno i temi principali del terzo libro, La bufera e altro (1956) in cui si rivivono le atrocità storiche, collettive e personali, del conflitto mondiale. Sono ancora le figure femminili a garantire la salvezza dall’orrore, dal crollo della civiltà: dapprima Clizia, dietro cui si cela ancora Brandeis idealizzata, sacralizzata, poi Volpe, personaggio concreto, erotico, pseudonimo di un altro amore clandestino di Montale, la poetessa Maria Luisa Spaziani. Lo stile è tragico, il classicismo delle Occasioni è spezzato, per far posto a una lingua poetica sublime, tragica, ma concreta, che sa mescolare registri alti e bassi, seguendo il grande modello della Commedia di Dante. Per alcuni è il capolavoro di Montale. Certamente si tratta del suo libro più complesso e articolato.
Finita la guerra, Montale si trasferisce a Milano, trova un impiego come giornalista culturale presso il «Corriere della Sera». Dopo La bufera smette di scrivere. Il mondo è cambiato, la società dei consumi avanza. Montale scrive articoli sulla cultura e la società, recensioni di libri, racconti (alcuni bellissimi, raccolti nella Farfalla di Dinard, 1956). Tante sono le ragioni di questa pausa dalla scrittura in versi, che Montale chiama il proprio «silenzio poetico». La ragione più profonda è una radicale crisi del linguaggio poetico rispetto a una realtà cambiata. Montale percepisce che la lirica tradizionale, che pur lui stesso aveva rinnovato, non è in grado di esprimere il mondo, perché il mondo, nella società dei consumi, dello spettacolo, dell’intrattenimento, si è trasformato. Quelle mutazioni sociali, sentite ed espresse con ironia dai poeti crepuscolari a inizio Novecento, subiscono un’accelerazione brusca e repentina.
Tutti i poeti degli anni ’60 reagiscono: c’è chi adotta un linguaggio prosaico, persino antilirico, chi rimuove l’io poetico, chi intraprende movimenti di avanguardia, chi fa del quotidiano i nuovi argomenti della poesia. Montale, il più anziano e autorevole dei poeti degli anni ’60, reagisce in modo inaspettato. Dapprima, nel 1966 pubblica Xenia, una breve raccolta dedicata alla compagna di una vita, Drusilla, morta qualche anno prima. Il tono è elegiaco, il quotidiano della vita di coppia fa breccia nella poesia. Certo, nessuna svolta radicale, per ora: sembra più una reazione dettata dalla circostanza, cioè la perdita di una persona cara di cui si vuole ricordare una vita insieme in tutti i suoi aspetti.
Nel 1971, tuttavia, Montale pubblica Satura, un libro imprevedibile: il linguaggio è a tratti antipoetico, pieno di giochi di parole e di paradossi, il tutto espresso in un registro estremamente prosastico, comico e talvolta grottesco. I temi si alternano: politica, società, filosofia, metapoesia, e ancora qualche bellissima poesia dedicata alle sue consuete destinatarie femminili. Una nuova stagione, spiazzante, si apre. Dopo Satura, Montale pubblicherà a ritmi serratissimi altre tre raccolte. La satira si smorza, i temi sociali diminuiscono in favore di memorie di giovinezza e infanzia, note sul presente e sulla vecchiaia, ricordi epifanici di donne scomparse. Insomma, la poesia diventa per Montale il diario in versi del proprio tramonto esistenziale. Per molti aspetti queste ultime pagine non sono all’altezza delle prime, quelle per cui Montale è diventato il classico che è ancora oggi. Nondimeno, in quest’ultima fase si annidano piccoli capolavori di stile tardo in cui si misura ancora l’eccezionale capacità di scrittura di un grande poeta, uno dei più grandi della nostra tradizione.
Andrea Bongiorno
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