Per una lira è il titolo di una canzone di Lucio Battisti che comincia così: Per una lira io vendo tutti i sogni miei. E poi la voce a strisce di Battisti racconta la storia di qualcuno che a malincuore si distacca da una parte di sé. Ascoltandola, ho sempre pensato a chi scrive. In particolare agli esordienti. Chi, per la prima volta (e spesso per una lira) consegna il proprio destino al mondo. Nell’incertezza e nell’imprecisione, un esordio insegna a scrivere più di un capolavoro (anche quando le due cose coincidono: David Foster Wallace, La scopa del sistema, 1987). Per una lira è uno spazio dove leggendo le nuove voci della narrativa, italiana e straniera, metteremo in luce alcuni aspetti di un romanzo legati al gesto dello scrivere per la prima volta, ovvero alla scoperta della propria voce.
Alessandra Minervini, scrittrice, editor e writing coach. Il suo primo romanzo si intitola Overlove, LiberAria 2016. Il suo sito è alessandraminervini.info. Qui gli articoli pubblicati su exlibris20.
Sospinto da uno stile versatile e sorprendente, Notturno di Gibilterra mette in atto un furibondo sabotaggio del genere più letto e amato: il giallo. Nell’appartata sala da tè del Grand Hotel Rodoreda di Barcellona, un giovane giornalista sta intervistando il celebre scrittore Enrique Vila-Matas. Ma, evidentemente, qualcosa va storto. Nella sala resta solo il cadavere dell’intervistatore, e Vila-Matas pare svanito nel nulla.
Un detective scontroso, e fiero «nemico delle Lettere», si lancia all’inseguimento del supposto assassino con l’aiuto della sorella Soledad, medico legale e coltissima lettrice, che sembra invischiata nella vicenda più di quanto non dovrebbe. Si innesca così un congegno romanzesco composto di carteggi, referti, interviste, picaresche peripezie (e persino di un campionato mondiale dei detective letterari in cui si sfidano mostri sacri come Poirot, Montalbano, Maigret e Sherlock Holmes). Un «ipergiallo» giocoso e diabolico che attraverso una sapiente rete di divertiti omaggi e ghiotte citazioni porterà il lettore dai canali delle Fiandre al Baltico, dall’Accademia di Svezia alla Patagonia, per approdare infine a Gibilterra, dove marginali poeti allo sbando rivendicano uno spazio a quella materia incandescente che è la letteratura.
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Lezione n. 18
Detective Story
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Lettori e lettrici, questo romanzo giallo non è un giallo. Tenetelo subito a mente prima di iniziare a leggerlo. Non è un giallo alla stessa maniera in cui Django Unchained di Quentin Tarantino non è un western. Entrambi surclassano il genere di partenza. Vanno oltre, creano un universo metanarrativo nel quale sembra ci finisca anche il pubblico. Complici una vena postmoderna e un acume citazionista metaletterario, l’esordio di Gennaro Serio, vincitore del Premio Calvino, pubblicato da L’Orma Editore nella sofisticata collana dedicata alla narrativa italiana, è una detective story che piacerà molto ai lettori onnivori. Perché si tratta, appunto, di una narrazione onnivora che spazia dalla narrativa più sperimentale al giallo/noir all’europea per raggiungere poi picchi di ironia caustica molto legati alla tradizione letteraria italiana del secondo dopoguerra.
La poliziesca, e rocambolesca allo stesso tempo, storia ha come scena del crimine una desolata sala da tè di un lussuoso hotel, a Barcellona, dove un giovane giornalista intervista lo scrittore Enrique Vila-Matas. L’intervista però non va esattamente come previsto e nella sala rimane il cadavere del giornalista mentre del maggiore scrittore spagnolo vivente non si ha più alcuna traccia. Alla caccia dell’assassino arriva un detective che è tutto un programma (narrativo): un tipo crepuscolare, con il broncio infantile e l’incedere tutto di un pezzo. La domanda che leggendo sentiamo sollecitata è questa: dove portano le menzogne? Al tradimento di se stessi o al tradimento dell’idea che di se stessi si dà al mondo? La risposta scontata sarebbe: alla scoperta di se stessi. Invece. La scrittura eccitante di Gennaro Serio ha una risposta alternativa che trova il suo compimento nella riduzione del confine liminale tra male/bene/buono/cattivo. Ciò che sembra cattivo è buono, e viceversa. Tutto merito del protagonista la cui voce cannibalizza piacevolmente l’autore, conferendo al romanzo uno stile unico, appunto d’altri tempi, e dando a chi legge la possibilità di essere complice della storia. L’interazione lettore/voce narrante è forse l’aspetto più interessante: non c’è cosa più divertente in una detective story di partecipare alla scena delle indagini. E la leggerezza, che sconfina nel grottesco, l’umanità di questo detective avvicina chi legge, lo rende un meta-protagonista. Questo è un gran pregio per chi volesse cominciare a scrivere un piccolo giallo: puntate tutto sulla relazione detective/lettore.
“Se fossi Pepe Carvalho, questo resoconto assumerebbe i contorni di un romanzo giallo velato di malinconia per il mondo di merda che là fuori incanutisce indifferente. (…) E fortuna vuole che non sia Maigret. Se lo fossi, intanto vivrei a Parigi, la Grande Mela dei ratti di fogna.”
Una voce narrante oscura e loser, che tiene il lettore fino all’ultimo (strepitoso) capitolo, ricorda quella di un raffinato scrittore e soggettista, preferito da Hitchcock per la realizzazione dei suoi telefilm: Jack Ritchie. Lo scrittore statunitense autore di oltre mille racconti, pubblicati in tutto il mondo, purtroppo poco conosciuto da noi. Le tasse, la morte e tutto il resto è una raccolta di racconti dove la prevedibilità del delitto fa il verso all’ironia, alla forza spiazzante del perturbante che in una detective story è una sorta di sentimento che trasforma ciò che ci è famigliare in ciò che invece temiamo.
E la suggerisce, in qualche modo, Serio quando alla trama dell’indagine poliziesca aggiunge una trama epistolare, senza voler svelare niente, che rivela l’efficacia della parola scritta: offrire più punti di vista. A quel punto il romanzo si trasforma in un vero e proprio esercizio di stile su se stessi. Non sappiamo mai dove sta la verità fino a quando non ci piomba in testa in forme menzognere. Come se la verità di un essere umano possa essere visibile solo nel momento in cui cede alla bugia. Per questo Notturno di Gibilterra è una detective story atipica, appunto come è atipico il mondo che attraversiamo. È un romanzo che consigliamo soprattutto, e non solo, a chi ama il genere “ispettore” ma condivide anche una certa esaustività del genere in quanto tale, fine a se stesso. Non serve svelare un mistero, quando si scrive, ma rilanciarlo a più non posso, inventare strade alternative, dare vita a nuove vite in chi legge.
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