Qui bisognerà scomodare un po’ di gente, giusto per fare un po’ di sana confusione in questo periodo piatto della letteratura italiana.
A dirla tutta vorrei raccontarvi tante cose e invece non so e non voglio neppure dirvi molto su questo libro. Vorrei solo che lo leggeste, perché ogni tanto fa bene cercare qualcosa senza sapere a cosa si va incontro.
E non chiedetemi neppure dove ne avevo sentito parlare di questo libro, e per come e per cosa, perché proprio non me lo ricordo, anche se di sicuro un mio primo incrocio con la parola “ioni” riferita ad un libro indefinito risalirà a quasi un paio di lustri addietro, una o due vite fa.
E così è assolutamente ovvio che, quando questa riedizione del 2014 uscì timidamente in qualche libreria per Marsilio –Fondazione Dino Terra e questo scritto che inseguivo con enorme curiosità e ossessione da qualche anno lo potei comprare, io questo libro lo comprai e lo divorai proprio in una sera, come spero facciate voi dopo aver letto queste mie brevi note.

Il libro si intitola Ioni o forse meglio IONI – Qualche tempo di due umani e d’un demone – Storia con avvenimenti rari normali curiosi e straordinari – Più delle considerazioni e altre cose interessanti.
E quindi, dicevo, non so bene che dire per convincervi a fare quello che dovete fare, perché in questo contesto di solito parlo di libri che magari per molti lettori sono libri svaniti o perduti nelle pieghe del tempo (o sarebbe meglio dire del mercato…) ma che sono libri capolavoro o insomma, una buona volta e per sempre, dei libri che non ho paura a chiamare capolavori, oltre ad essere naturalmente tra le mie letture preferite di sempre.
Il caso di Ioni, non lo nego, è un po’ diverso. Questo libro è stato ed è  sicuramente una delle mie letture preferite di sempre, ma è anche un libro che avrei difficoltà a definire capolavoro. È un libro bello, interessante, a volte magistrale per atmosfere, attitudine e curiosità, ed è un libro imperfetto. Credo che quasi tutti i libri capolavoro siano dei libri imperfetti ma qui qualcosa manca, o perlomeno manca a me.

Si compie una scrittura, una storia, una fascinazione, ma è come se venisse meno un compimento definitivo, fattuale, pieno sia dell’imperfezione che del racconto.
Non sto a spiegarvi cosa significhi questa ultima frase altrimenti qua ci scappa un saggio sul mio modo di vedere ed intendere la letteratura ed io non ho voglia di scriverlo e voi probabilmente non avete voglia di leggerlo.
Insomma, messe le mani avanti (io) deciderete (voi), e comunque vi suggerisco di leggerlo questo benedetto libro, perché è una piccola meraviglia della letteratura italiana di cui sto cercando di dirvi pochissimo, anche perché già l’autore ha detto abbastanza con il sottotitolo o titolo d’accompagno o come volete chiamarlo.
Intanto l’autore, Dino Terra, magari non l’avevate mai sentito nominare ma in fondo non è grave dato che si tratta dello pseudonimo di Armando Simonetti (anche se a me Dino Terra la prima volta che l’ho sentito, non so perché, mi ha fatto pensare ad un personaggio di Flash Gordon ma qui parte tutta una sottocultura degli anni ’30 sui fumetti e i periodici e anche qui ci scappa un saggio ma io … e voi …), uno che a sedici anni, quindi se non faccio male i conti nel 1919, scrisse un duro pamphlet contro D’Annunzio a quanto pare, e che nel 1929 pubblica appunto, poche settimane prima de Gli Indifferenti di Moravia, questo romanzo chiamato Ioni per l’editore Alpes.
Ecco che comincia  la gente da scomodare quindi.
Magari il rumore di fondo attorno al libro di Moravia un po’ l’ha oscurato questo romanzo, pur essendo Moravia amico di Terra, oppure come leggerete nell’introduzione ci fermiamo a pensare a Massimo Bontempelli e a quegli anni venti di temperie intellettuali variegate dove il giovane Terra cercava, proprio a partire dal modo di vedere e scrivere una possibile letteratura di Bontempelli, di fare esperimenti su se stesso e la sua narrativa, di trovare forse un realismo personalissimo o una magica via all’Altro che si cela dietro ogni grande opera letteraria.
Tanta altra gente si potrebbe scomodare visto che poi Terra ha proseguito fino al termine della sua vita a scrivere, a scrivere altri romanzi, alcuni dei quali ho letto e in cui però non ho più ritrovato questo coraggio sghembo di andare a narrare il demone che guarda la follia umana e la contempla nella sua normalità, nella sua quotidianità banale e precisa, spietata.

Un altro nome lo scomodo ancora e solo perché mi piace buttarvi in pasto la sfida di andare a cercare questo libro per vedere se è vero. Il nome è Bulgakov. Già.
Perché qualcosa de Il Maestro e Margherita  in questo Qualche tempo di due umani e d’un demone io l’ho sentito echeggiare forte (come in un altro paio di romanzi, per motivi diversi, romanzi di cui prima o poi dovrei decidermi a scrivere[1]), anche se i mille accenni di piccola rivoluzione letteraria provati  e accennati in IONI si perdono poi in se stessi e questo per un romanzo non è mai un bene.
Non bisogna dimenticare tra le altre cose, a proposito di questo mio azzardato paragone,  che il capolavoro di Bulgakov ha visto la luce editoriale solo negli anni ’60 e che tutto questo daimon presente nel libro di Terra è più spettatore che agente. Ciò non toglie nulla al ritrovamento nel libro di atmosfere similari come similari a volte sono gli sguardi dell’ultraterreno verso i poveri terreni coinvolti nelle loro piccole vicende amorose e non.

Tornando a IONI ci penso spesso, senza sapere esattamente “a cosa penso” di questo libro, ma se due letture in anni diversi e qualche passaggio casuale tra le pagine di tanto in tanto non mi hanno fatto capire bene e questo libro ancora affascina i miei pensieri qualche cosa vorrà dire, credo.
Solo i libri che hanno qualcosa da dire rimangono così in noi, ed è proprio questo il caso di un libro che dice e forse ci fa dire (sotto forma di muti pensieri, come se tutti ci trasformassimo in quel demone che osserva i due innamorati della storia) più amenità che concetti puliti, illuminati bene.
Il giovane Dino Terra aveva, nello scrivere un tale romanzo, delle urgenze che forse poi non ha più avuto, tanto che pur mantenendo un certa atmosfera di inquietudine nei suoi libri non c’è traccia nelle prove successive di passaggi letterari volti a deframmentare così bene come in questo romanzo i mille Riflessi, le mille realtà che compongono la nostra Realtà quando ci fermiamo a guardarla.

Sapete: gli innamoramenti sono facili da spiegare, quando bisogna spiegare l’amore  invece, è difficile, quasi impossibile, spiegare con chiarezza perché quell’amore esista e ci colpisca.
Con i libri è un po’ lo stesso, si hanno innamoramenti, magari pieni di parole per quello che si è letto, libri meravigliosi anche, ma l’amore, quello vero, lo si riserva ai capolavori e agli altri libri, come questo, di cui non sappiamo spiegare la forma e la sostanza ma di cui abbiamo percepito la malia e la materia, almeno quella superficiale, che ci riflette. Libri di cui abbiamo sentito la sfida e l’ambizione, che è sempre quella di raccontare una storia è vero, ma anche quella di fallire nel tentativo di riuscire a raccontarla come non pensavamo che l’avremmo mai raccontata.

[1] I romanzi in questione sono: Con i cavalli in Moravia – Viaggio al Praded di Ludvik Vaculik e Orfeo in paradiso di Luigi Santucci.

Simone Battig

Altri Strabook!
Magnus, un romanzo di Sylvie Germain
Di capre, intelligenze artificiale e di scrittori buoni solo da morti

Passavamo sulla terra leggeri, il libro postumo di Sergio Atzeni
Matteo Galiazzo: un’intervista cha-cha-chat?
Lo stagno di fuoco, Daniele Nadir