L’orma dei passi perduti è l’ultima pubblicazione di narrativa di Paolo Buchignani, storico contemporaneo e romanziere, che rileggiamo a quasi un anno dalla sua uscita per Tralerighe Libri, casa editrice indipendente con base a Lucca.

Compongono il libro quattro racconti, sotto il comune titolo L’orma di Orlando, e un romanzo corale, Santa Maria dei Colli; già edite separatamente nel 1992 e nel 1996, le due parti sono riproposte in una coerente veste unica, attraverso cui i richiami intimi fra i testi, nei temi e nello stile, si riconoscono e si saldano. Grazie a un’inedita introduzione d’autore che suggella la ripubblicazione, il risultato, che cercheremo di scomporre trattenendone i fili rossi, è quello di un intenso racconto lungo.

I personaggi che affollano la pagina di Buchignani, tutti membri della campagna lucchese a cavallo fra gli anni della Seconda Guerra mondiale, vengono richiamati dalle memorie individuali con realismo e allo stesso tempo con liricità, e vengono colti in movimenti sempre sincroni a quelli della natura, prima protagonista osservata mentre si sgretola fra i colpi del progresso e del conflitto tra gli uomini. Su questo sfondo primario, imprescindibile, si innestano caratteristiche narrative ben riconoscibili; attraverso alcune di queste Buchignani guida il lettore nella densa ed equilibrata premessa di apertura (che porta lo stesso titolo del volume): essa introduce ai “passi perduti”, sulle cui tracce incamminarsi, e merita un occhio di riguardo.

Le “orme” sono indubbiamente quelle di Rolando, Marta, della voce che in prima persona si alterna alle loro storie per narrare La Grotta dell’aquila, tutti attori inconsapevoli di storie sepolte che tessono i fili di un una maglia a trama sempre più fitta; le “orme” sono però anche quei riferimenti biografici e letterari dell’autore, che in modi diversi hanno contribuito alla nascita del libro, qui per la prima volta dichiarati: Romano Bilenchi, Geno Pampaloni, Vincenzo Pardini e, primo fra tutti e protagonista in controluce dei racconti, Mario Tobino. Quella nei confronti di Tobino è una dichiarazione di paternità letteraria e politica, oltre che strettamente affettiva, da incrociare con piacere, e a più livelli, durante la lettura. Non è un caso che a Mario Tobino conduca il riflesso di alcuni personaggi, soprattutto di quelli che ruotano intorno alle vicende del “colle di Fregionaia”, complici di creare un discorso sul tempo passato del manicomio e della “comunità” lucchese, che incornicia una narrazione non soccorsa da lineari riferimenti temporali.

Il tempo si divide tra la Storia e il ricordo individuale, innescato spesso dalle stesse forme della natura, come l’“orma” del titolo (simbolo dal significato duplice, da quando scopriamo che l’“Orma” è anche il nome del colle dalla cui osservazione inizia lo slancio a raccontare), assumendo poi la consequenzialità del sogno.

La coerenza di questo “romanzo corale” di Buchignani si gioca, a mio parere, su una dimensione della realtà che fa la spola fra il ricordo dei morti e la loro permanenza tra i vivi, con loro dialoganti, e la conseguente atmosfera onirica che caratterizza il “romanzo” e rende la cronologia propria di un tempo sempre attuale. La campagna e la natura, come accade per l’espediente iniziale (la contemplazione dell’“Orma”), sono dei bacini archeologici a cui continuamente tornare per intercedere alla loro disgregazione e quindi a quella delle storie individuali, che nei racconti di Buchignani vorrebbero caricarsi di significati universali.

Il luogo e la data di composizione presenti in ogni racconto non riescono ad arginare un sentimento diffuso di intangibilità di quelle vicende, tanto reali e familiari da far riconoscere qualsiasi lettore, così oniriche da essere rese mitiche e  responsabilizzate da valori storici e sociali che la saggistica (campo di azione più consueto per Buchignani) non potrebbe rendere tanto immediati da comprendere:

«Lapo era attratto da quel segno; lo cercava disperatamente nella terra, sui libri, nei quadri, sugli oggetti consunti, sul volto rugoso dei vecchi, nelle parole che salivano a fatica dal profondo delle gole rauche, indebolite dagli anni. Lo cercava spinto da una forza misteriosa che gli urgeva dentro; ma una volta trovato, quel segno gli parlava di angoscia, di dolore, di morte; poteva essere una poesia, una parola sulle labbra di un piccolo uomo, un crocifisso del ‘500, una ceramica etrusca decorata con scene di guerra. E quel passato gli pareva incombere sul presente, determinarlo, anticiparne il dramma; proprio come il sogno profetico e terribile del conte Ugolino prigioniero nella torre dei Gualandi.» (Il passo di Dante)

Le due parti del libro, dunque, dialogano su questo orizzonte di attesa; se i primi quattro racconti ci rendono chiari i fili rossi tematici cari all’autore, raccontandoci i tanti tipi di disgregazione a cui fare fronte, il romanzo finale svolge in una storia familiare e collettiva i meccanismi attraverso cui Buchignani ha trovato la sua soluzione, da condurre grazie alla narrativa.

Una vicenda per tutti, L’orma di Orlando, titolo anche della raccolta del ’92, in cui il ritorno di Marta alla casa della giovinezza porta per mano gli altri racconti, svolgendone i temi ricorrenti: il ritorno alla dimensione della campagna, il tema della follia (che, sebbene non sembri, è sullo sfondo di molte vicende) e delle storie di Fregionaia, il sonno, il sogno, quindi il ricordo e la narrazione di una storia d’amore di Guerra, in cui i morti dialogano e si muovono con i vivi, in un attuale presente storico. Allo stesso modo di Marta anche gli altri protagonisti della Grotta dell’aquila, de Il passo di Dante e della Finestra di Rolando, compiranno un percorso simile.

Scopriamo infine che la seconda parte, il romanzo corale Santa Maria dei colli, all’apparenza indipendente, non può che essere la spiegazione a tutte le domande precedentemente poste; sono tante le voci raccordate in una unica, in cui il primo movimento è ancora quello del ricordo e del sogno, ora primi stimoli di un racconto finito, in prima persona, in cui le storie dei suoi protagonisti, Esterina, Assuero, Poldo, Mena, la Rossa, si riallacciano ai primi quadri, dando vita a un affresco collettivo e interessante da conoscere.

Matilde Cioni