Tender è una raccolta che, a dispetto del titolo, è tutt’altro che tenera ed accogliente.
Federico Riccardo, con la sua prosa diretta e disincantata, ci regala otto racconti che odorano di fumo di sigaretta in una stanza chiusa (come la cucina dei genitori del giovane F. in “Sbucciarsi le ginocchia”), di bidone dell’organico non svuotato (“Amore”), di fluidi corporali (“Loro”), di venti metri quadri di lerciume (“Mario ed Io”) e di cartoni della pizza abbandonati. Proprio come i cattivi odori però non possiamo fare a meno di notarli e di farci penetrare da essi. Ci mette davanti agli occhi tanti spaccati di realtà in cui si toccano temi fortemente attuali: la solitudine, il precariato lavorativo, l’instabilità delle relazioni umane ma anche quella della vita stessa, l’alcolismo, l’incomunicabilità del proprio malessere, la violenza, gli hikikomori (condizione, anche se non su base volontaria, affine a quanto abbiamo sperimentato tutti nel periodo della pandemia).
Ma l’autore ci spiazza anche con fantasie disturbanti: in “Apocalisse” ci porta in un mondo alla deriva in cui il cannibalismo è rimasta l’unica possibilità. Dietro a questa iperbole c’è una strizzata d’occhio alla nostra società e ai danni che possono apportare la nostra incuria e il nostro disinteresse. Se questi racconti ci danno l’imbarazzante sensazione di non essere puliti, allo stesso tempo ci fanno riflettere anche sulla disillusione, sull’indifferenza dietro cui ci siamo trincerati tanto è il marcio che ci scorre quotidianamente sotto agli occhi, sullo stagnare in certe pozze in cui ci si trova, a volte, nella vita. E poi c’è la scrittura, come necessità, come medicina e magari come soluzione essa stessa.
“Osservava con l’occhio di chi ha il tempo per osservare e restituire al lettore la medesima cosa e fu qui che F. fece la più grande scoperta della sua vita: i personaggi dei racconti sono tutti idealizzati, chi scrive pensa sempre a qualcos’altro, a qualcosa di filtrato dalla banalità. Il personaggio è molto più ingenuo e puro, fosse anche il più scaltro tra gli uomini. Fa quello che è giusto oppure fa quello che vorrebbe fare, non è mai preso dall’indecisione dell’esistenza, dal “forse” che tutti noi portiamo avanti ogni giorno camminando a tentoni. Se con la scrittura gli fosse andata male, allora sarebbe diventato sicuramente un personaggio.”
Elisa Garbin
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