La tormentata vicenda raccontata da John Steinbeck, fra i massimi autori della letteratura americana, in Uomini e Topi, del 1937, trasposta nella nostra lingua dall’eccelso Cesare Pavese, è incentrata su temi che continuano a essere forieri di riflessioni, nuovi dibattiti e nuovi interrogativi, quali l’incombenza di nuove crisi finanziarie e l’incessante aumento del costo della vita.
L’opera di cui si tratta, difatti, è ambientata sullo sfondo della catastrofica recessione economica vissuta dagli Stati Uniti negli anni ’30, nota come la Grande Depressione. Tra le classi più colpite vanno sicuramente menzionati i braccianti agricoli occupati nell’ovest americano, molti dei quali privati di una dimora e costretti a vagare alla ricerca di un lavoro. Steinbeck, vivendo a Salinas, in California (luogo, peraltro, direttamente indicato nel suo libro- denuncia), in prima persona assistette alla disperazione e alle terribili sofferenze che dovettero patire le famiglie, in preda alla fame e senza il conforto di un’abitazione. Egli riteneva che la responsabilità di ciò avrebbe dovuto esser in parte imputata ai proprietari terrieri e ai banchieri, che consapevolmente e deliberatamente sfruttavano la manodopera a basso costo fornita dai lavoratori migranti, obbligati a lavorare nelle più precarie e inumane condizioni. Pertanto, Uomini e Topi può essere concepita come la personale volontà dell’autore di denunciare ed evidenziare ciò che la crudeltà e l’indifferenza dei proprietari terrieri, rappresentati nel romanzo dal padrone della fattoria e da suo figlio Curley, hanno significato rispetto alla sofferenza dei lavoratori senzatetto come, per l’appunto, i due protagonisti: George e Lennie.
La fraterna amicizia tra i due viene, difatti, messa alla prova dalla realtà isolante e predace che caratterizza la loro vita da poveri lavoratori migranti nell’America della Grande Depressione. Il sentimento fraterno che li lega rappresenta un unicum, una vera e propria eccezione rispetto alla desolante e cruda realtà che essi vivono quotidianamente: quasi tutti gli altri personaggi con cui essi entrano in contatto ribadiscono di non aver mai potuto constatare prima un tale affiatamento, una così intima collaborazione tra due lavoratori migranti. È una vera e propria lotta per la sopravvivenza quella che vede impegnati George e Lennie, il cui desiderio più profondo è raggiungere una stabilità economica che li consenta di acquistare una propria fattoria. Questo sogno è certamente complicato sia dall’incapacità di Lennie di dominare la propria struttura, la propria personalità, nonché la sua vigorosa forza, che lo inducono a cacciarsi sempre nei guai nel lavoro, così come dall’incapacità di George di arrabbiarsi con Lennie a tal punto da andare via e trovare lavoro da solo. Da subito si comprende come, sin dall’infanzia, i due protagonisti abbiano vissuto braccio a braccio e di come il loro rapporto sia stato più volte messo alla prova. La loro amicizia è a tal punto consolidata che le loro conversazioni sono quasi del tutto ritualizzate, esattamente come quella inerente al loro più intimo desiderio: “Un giorno…avremo messo insieme i soldi e ci sarà una casetta con un pezzo di terreno e una mucca e i maiali e…” “E vivremo del grasso della terra,” urlò Lennie. “E terremo i conigli. Va’ avanti, George! Di’ quel che avremo nell’orto e i conigli nelle gabbie e la pioggia d’inverno e la stufa; di’ come sarà spessa la panna sul latte che non la potremo tagliare. Di’ tutto questo, George.” […] “Allora,” disse George, “avremo una grande aiuola d’erba e una conigliera e le galline. E quando pioverà d’inverno, diremo ‘Al diavolo il lavoro’ e accenderemo un grande fuoco nella stufa e staremo seduti ascoltando la pioggia cadere sul tetto…” Peraltro, è particolarmente rilevante che, più del traguardo stesso, assume maggiore pregnanza che si tratti di un obiettivo condiviso tra George e Lennie. Mentre la narrazione prosegue, difatti, ci si rende conto che quasi tutti i lavoratori maturino tale aspirazione, ma solo George e Lennie intendono realizzare e vivere siffatta realtà assieme. La rarità del loro rapporto è a tal punto nobile e sublime, che la morte di Lennie si rivela profondamente più tragica poiché George in questo modo non solo perde il suo amico, ma anche il sogno di una vita migliore.
La realtà della vita nel ranch allunga i suoi tenebrosi tentacoli attorno al sogno di George e Lennie: in essa i traguardi passati e i legami emotivi non assumono alcuna valenza e ciò che è interpretato come idoneo risponde all’asfissiante criterio dell’utilità: al di là di essa non c’è spazio per altro. La più grande minaccia per i lavoratori viene sì da chi detiene l’autorità, il potere, ma in misura maggiore dal clima di solitudine, sopraffazione ed emarginazione che nel ranch regna sovrano, che finisce con il metterli gli uni contro gli altri.
Il culmine della tensione viene raggiunto nel momento in cui Lennie uccide accidentalmente la moglie di Curley, spezzandole il capo mentre le accarezza i capelli: tutti, a eccezione di George e dell’anziano tuttofare Candy, ritengono che Lennie sia colpevole di un omicidio consapevole e deliberato e la natura prevaricatrice e violenta di Curley ne segna il destino.
Ecco, dunque, che ritroviamo George, trovato Lennie nel nascondiglio vicino al letto del fiume Salinas, concordato tempo addietro, raccontare al suo amico il loro sogno, esattamente come già accaduto innumerevoli volte prima. Mentre Lennie rimane all’oscuro del suo imminente destino, George sa che questa è l’ultima volta che potrà raccontare questo desiderio condiviso e di come la sua speranza di una vita economicamente stabile andrà immediatamente in fumo. George si ritrova costretto a dover uccidere Lennie per far sì che egli non sia vittima del linciaggio, della morte cruenta voluta da Curley. Ed è così che questa amicizia viene completamente sconfitta dall’isolamento, dalla sfiducia e dalla paura dettati dalla realtà delle loro vite.
Fabiana Di Fazio
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