Per una lira è il titolo di una canzone di Lucio Battisti che comincia così: Per una lira io vendo tutti i sogni miei. E poi la voce a strisce di Battisti racconta la storia di qualcuno che a malincuore si distacca da una parte di sé. Ascoltandola, ho sempre pensato a chi scrive. In particolare agli esordienti. Chi, per la prima volta (e spesso per una lira) consegna il proprio destino al mondo. Nell’incertezza e nell’imprecisione, un esordio insegna a scrivere più di un capolavoro (anche quando le due cose coincidono: David Foster Wallace, La scopa del sistema, 1987). Per una lira è uno spazio dove leggendo le nuove voci della narrativa, italiana e straniera, metteremo in luce alcuni aspetti di un romanzo legati al gesto dello scrivere per la prima volta, ovvero alla scoperta della propria voce.
Alessandra Minervini, scrittrice, editor e writing coach. Il suo primo romanzo si intitola Overlove, LiberAria 2016. Il suo sito è alessandraminervini.info. Qui gli articoli pubblicati su exlibris20.
Un centro commerciale che durante le campagne di sconto del Black Friday viene invaso da orde di consumatori-zombie; un parco a tema in cui i bianchi possono simulare di uccidere presunti malintenzionati neri; l’autore e la vittima di una sparatoria in una scuola che, dopo morti, cercano di prevenirne un’altra; un gruppo di attivisti neri che vendica con surreale violenza l’ennesima clamorosa assoluzione di un omicida razzista; un mondo postapocalittico in cui ogni giorno si ripete, in un loop eterno, una catastrofe nucleare. I dodici racconti di Nana Adjei-Brenyah sono un ritratto distopico degli Stati Uniti contemporanei, in cui la realtà del consumismo, delle diseguaglianze di classe, delle tensioni razziali, dell’uso incontrollato delle armi da fuoco vengono portate alle loro estreme conseguenze, usando in maniera brillante i dispositivi della satira, della narrativa fantastica, dell’horror. Al cuore delle storie restano però personaggi umanissimi e credibili, nostri simili, che cercano di conservare la sanità mentale o la coerenza morale in un mondo che deraglia: a loro – a noi – l’autore affida la sua speranza. Un esordio potentissimo, con un immaginario degno di Black Mirror e una lingua essenziale e tagliente, che ha ricevuto elogi da grandi nomi della scena letteraria americana come George Saunders e Colson Whitehead, e paragoni con classici contemporanei del calibro di Kurt Vonnegut e Ralph Ellison.
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Lezione n. 11
Scrivere racconti
(Capitolo 2)
“Per me non è facile. Mi serve più aiuto. Mi servono più lingue. Non sono ancora abbastanza bravo. Voglio arrivare fino in fondo.”
“E allora vai fino in fondo”, mi disse il Dio dalle Dodici Lingue. “Crea quello che vuoi vedere.”
Avete presente quando uno dice: ho bisogno di una boccata d’aria e allora esce fa un giro, respira e la testa si ossigena come un vino messo a decantare? Tipo quando ci si sente impallati dentro un’atmosfera viziata e invece si vorrebbe solo respirare aria nuova?
Friday Black, l’esordio strepitoso del 35enne newyorkese, di origini del Ghana, Nana Kwame Adjei-Brenyah (pubblicato da Sur e tradotto benissimo da Martina Testa) è aria nuova, una lunga rinvigorente boccata d’aria pulita.
Quando lo avrete finito, smetterete di leggere i giornali. La realtà, scoprirete, è qui dentro, dentro questa tragica e grottesca sfilata di personaggi e di storie che tutto sembrano eccetto fiction.
A cominciare da Emmanuel che ne I 5 della Finkelstein racconta la storia di una strage di cinque bambini neri per mano del signor Dunn che vedendoli fuori e non dentro la biblioteca pensa bene di sgozzarli con una motosega e la corte del South Carolina lo assolve.
«L’accusa non è riuscita a smentire che Dunn fosse un eroe intento a salvare i suoi figli da cinque mostri. Sembrano parole dure ma siamo onesti. Questa storia l’abbiamo già sentita. Un onesto cittadino bianco che ha lavorato tutta la vita viene messo in una situazione in cui è costretto a difendersi. E di colpo diventa un “razzista”. E di colpo diventa un “assassino”. Prima di prendere la vostra decisione, voglio che teniate a mente una sola parola: libertà.»
Il grottesco come il non plus ultra dei tempi attuali. La distopia come deterrente del dolore quotidiano e universale. Siamo davanti a un libro politico: cioè che attiene alla nostra civiltà, al nostro stato di esseri (in)umani e al nostro Stato che alimenta soltanto distorsioni del senso comune.
Questo stesso tono, al limite della follia ma incredibilmente autentico, lo si trova in L’era dove il protagonista risponde a colpi di “arancia meccanica” ad una specie di ultra-emarginazione, costruisce un linguaggio subottimale con cui riscrive il mondo e ciò che lo compone (imperdibile la descrizione degli occhibassi).
Tutte le storie meritano di essere lette e rilette, sono voci e strumenti dentro un ensemble che accappona la pelle fino a farla mutare.
Si cambia pelle leggendo questo libro e non credo esista niente di più potente per chi legge (e per chi scrive).
In quasi tutti i dodici racconti la descrizione della violenza diventa una forma involontaria di poesia. In particolare questo avviene dentro le immagini e le parole di Sputi di luce, la più bella storia sul bullismo scolastico che io abbia letto. E per bella non intendo che ci sia niente di tenero nella vicenda. Un ragazzino, detto Lardoman, un bel giorno BOOM spara a Deirdra una bambina afroamericana che ha l’unica colpa di essergli passata davanti. La “solita” strage a scuola diventa una commovente novella sul destino, sul perdono, sull’abbandono e sulla vita oltre la vita.
«Il fantasma di Lardoman esce dal bagno, attratto dall’angelo che ora si sta librando sopra il suo corpo di ragazza, rovesciato mollemente all’indietro sullo schienale di una sedia imbottita. Deirdra e Lardoman si vedono. “Cosa è successo”, chiede Lardoman. Deirdra si gira e cerca di sputare a Lardoman, ma dalla bocca le escono solo sottili raggi di luce. Dopo aver tentato invano di fare qualcos’altro che non sia splendere, dice: “L’hai ammazzata. M’hai ammazzata”».
Il titolo del libro lo si deve al racconto Venerdì nero che fa esplicito riferimento al black friday americano (la giornata che apre gli acquisti di Natale, subito dopo il Giorno del ringraziamento, a fine novembre) in cui acquirenti e lavoratori sono esplicitamente accostati a mandrie di zombie senza meta e senza cuore. In questo racconto e in Come vendere un giaccone, secondo il re dei ghiacci si manifestano con esplicita evidenza riferimenti e derivazioni narrative delle grandi serie distopiche degli ultimi anni: Black Mirror, The walking dead, Westworld. Ma i riferimenti non sono pretestuosi e nemmeno scadono in un citazionismo posticcio. Il racconto di una società negativa e dal futuro molto incerto attraversa le storie con una naturalezza tipica delle grandi menti visionarie (ricorda molto lo humor nero di racconti di Kurt Vonnegut).
Friday black fa dimenticare la forma breve in tutte le sue forme, ergendo nostra signora paranoia quotidiana a sistema percettivo. La voce narrante è una prima persona che ci abbraccia e ci strozza tutti, una prima persona che ci travolge in pieno. L’autore rende ogni parola, ogni invenzione narrativa, ogni minimo gesto dei personaggi un atto di libertà dentro la rivoluzione (cit. Julio Cortázar, Bestiario).
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