Per una lira è il titolo di una canzone di Lucio Battisti che comincia così: Per una lira io vendo tutti i sogni miei. E poi la voce a strisce di Battisti racconta la storia di qualcuno che a malincuore si distacca da una parte di sé. Ascoltandola, ho sempre pensato a chi scrive. In particolare agli esordienti. Chi, per la prima volta (e spesso per una lira) consegna il proprio destino al mondo. Nell’incertezza e nell’imprecisione, un esordio insegna a scrivere più di un capolavoro (anche quando le due cose coincidono: David Foster Wallace, La scopa del sistema, 1987). Per una lira è uno spazio dove leggendo le nuove voci della narrativa, italiana e straniera, metteremo in luce alcuni aspetti di un romanzo legati al gesto dello scrivere per la prima volta, ovvero alla scoperta della propria voce.

Alessandra Minervini, scrittrice, editor e writing coach. Il suo primo romanzo si intitola Overlove, LiberAria 2016. Nel 2021 pubblica Una storia tutta per sé. Raccontare se stessi per essere (più) felici con la casa editrice Les Flâneurs Edizioni Il suo sito è alessandraminervini.info. Qui gli articoli pubblicati su exlibris20.


Jana Karšaiová, Divorzio di velluto, Feltrinelli 2022

Come si sopravvive allo strappo, alla perdita delle radici? Cosa resta, come ci si inventa di nuovo? Katarína torna da Praga a Bratislava per trascorrere il Natale insieme alla famiglia. Alle vecchie incomprensioni con la madre, si aggiunge la difficoltà di giustificare l’assenza del marito Eugen. Ma in quei pochi giorni ritrova anche le vecchie compagne di università, soprattutto Viera, che si è trasferita in Italia grazie a una borsa di studio e torna sempre più malvolentieri in Slovacchia.
Le due amiche si riavvicinano, si raccontano l’un l’altra gli strappi, le ferite – Viera con Barbara, che era stata la loro insegnante di italiano, Katarína con Eugen, che l’ha abbandonata due mesi prima con un biglietto sul tavolo della cucina. Katarína ripercorre il rapporto con lui, dal primo incontro al matrimonio forse troppo precoce, con le tante difficoltà di integrarsi a Praga, fino al dolore, di cui ancora non riesce a parlare. E tra i ricordi emergono frammenti della vita a Bratislava sotto il governo comunista: l’abolizione delle festività cattoliche, la censura, le code per la carne e per qualsiasi cosa.
Con “divorzio di velluto” si intende la separazione tra Slovacchia e Repubblica Ceca, che nel romanzo riverbera quelle tra Katarína e il marito Eugen, tra Viera e un paese per lei troppo stretto…
https://www.feltrinellieditore.com/


Lezione n. 40

Scrivere la famiglia

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«Una volta la casa aveva quasi preso fuoco. Era il 1988 e avevano comprato l’abete per Natale. “Come quelli dell’ovest,” ripeteva
sua madre mentre appendeva decorazioni scintillanti sui rami nobili dell’albero. La sera della Vigilia suo padre si era dimenticato di spegnere le luci e si era creato un corto circuito.
Le grida di sua madre l’avevano svegliata: “Sei un idiota, un
incapace, un buono a nulla”. Jojo nel letto non si era mosso,
quando gridavano si immobilizzava. Katarína aveva infilato
la testa sotto il cuscino per proteggersi dal fumo, ogni tanto la alzava per annusare l’aria, sembrava pulita.»

La famiglia è la scintilla narrativa di Divorzio di velluto, esordio di Jana Karšaiová, in uscita il 17 febbraio per Feltrinelli. Una famiglia in un romanzo crea legami, stabilisce intrecci tra i personaggi e l’ambiente, tra i personaggi e il loro passato che, spesso, è mal digerito. Il che è un bene per la storia, crea tensioni e mette un ordine tutto suo nella trama. Ne ho incontrate tante di famiglie, nei manoscritti che leggo. E se un tempo mi chiedevo come mai fosse uno dei moventi affettivi più prossimi alle scritture più personali, adesso conosco la risposta. Una famiglia, per quanto dimessa e infelice; gagliarda e rampante; assente oppure onnipresente, l’abbiamo (avuta) tutti e tutte. Quella di Divorzio di velluto è una famiglia come tante, che si sgretola nel ricordo e si ricostruisce in un presente fatto di assenze nemmeno troppo inconsapevoli. Una famiglia come tante che diventa unica nel linguaggio che risplende dentro una semplicità sintattica curata e, soprattutto, nella sontuosità dei dettagli culturali. C’è un vero e proprio paesaggio narrativo dentro il romanzo, fatto di libri, canzoni, film, poesie. Un tappeto sonoro e letterario, in cui l’esperienza culturale accompagna il viaggio, nel passato e nel presente, dei personaggi. Fa storia nella Storia. La protagonista di Divorzio di velluto è Katarína, una giovane donna che torna a Bratislava dai suoi per trascorrere il Natale; parte da Praga senza il suo Eugen, di cui in famiglia hanno un bel ricordo tanto quanto lei invece lo disprezza. Se è vero, come è vero, che il ricordo non è trama, quella di orientare la storia di famiglia verso la costruzione di un’identità culturale è la strada giusta per evitare formule retoriche e asfittiche. Il racconto del ricordo, in particolare in una storia di famiglia, deve privilegiare immagini e simboli concreti, familiari appunto. In Lessico famigliare Natalia Ginzburg associa alla scrittura un linguaggio e uno sguardo rappresentati dai legami nati cresciuti e finiti all’interno della sua famiglia. Karšaiová conosce e mette in pratica le parole di Ginzburg che, nell’avvertenza di Lessico famigliare, scrive: “Ho scritto soltanto quello che ricordavo. Perciò, se si legge questo libro come una cronaca, si obietterà che presenta infinite lacune. Benché tratto dalla realtà, penso che si debba leggerlo come se fosse un romanzo: e cioè senza chiedergli nulla di più e di meno, di quello che un romanzo può dare.”

Ritrovare Natalia Ginzburg è stato come entrare in una casa sconosciuta e vedere la foto, casualmente appesa insieme a tante altre, di un parente o di un amico che non si immaginava di incontrare proprio lì, eppure l’immagine è così naturale in quel luogo in apparenza non familiare che non c’è da chiedersi nemmeno che ci faccia lì.

«Viera aveva riportato un libro di Natalia Ginzburg, Lessico famigliare, che la professoressa le aveva prestato due settimane prima. Quel venerdì mattina ne avevano discusso, la
professoressa aveva letto un passaggio che parlava del potere
di una parola o di una frase di rievocare il passato, di riallacciare in una frazione di secondo gli antichi rapporti famigliari. Mirka aveva obiettato che il linguaggio si ricreava continuamente e non si poteva e non si doveva tornare indietro.»

Una sensazione che si è ripetuta anche quando ho rivisto tra le pagine altri elementi famigliari: La bella estate di Cesare Pavese, Murder Ballads di Nick Cave e altri riferimenti che arricchiscono la prospettiva della storia. Uno dei rischi nel raccontare la famiglia, soprattutto nel primo romanzo, è far muovere i personaggi nel vuoto sia a livello spaziale che temporale. Qui non succede. L’occasione drammaturgica del nostos, del ritorno a casa dell’eroe, in questo dell’eroina, è terreno fertile per consentire alla protagonista di rivedere le sue compagne universitaria. Il che realizza nella trama un doppio ricongiungimento sia con la famiglia naturale che con quella che si sceglie, come si dice, cioè le amiche di sempre, quelle che sanno perdonare le mancanze e non si sottraggono davanti a una perdita così come davanti a una festa. Sotto traccia si crea un mosaico di una vita che non esiste più ma che nel romanzo viene rivissuta dalle ragazze attraverso frammenti di flashback.

«Erano nate nel ’78, tutte tranne Mirka, in una Cecoslovacchia comunista appena matura che dopo quindici anni
sarebbe morta per vedere sorgere dalle proprie ceneri due
stati nuovi, una fenice moderna, gemella ma non troppo, un
matrimonio il cui apice sarebbe stato il divorzio, battezzato
anche quello di velluto. Come la rivoluzione dell’89, la Rivoluzione Gentile la chiamavano gli slovacchi, di Velluto, ribattevano i cechi.»

La penna di Jana Karšaiová è l’applicazione del mantra: il ricordo non è trama. Divorzio di velluto ha una trama che sviluppa più lati emotivi, la famiglia è anche per certi versi la patria e ci si chiede anche quale sia: se il luogo dove si è nati o quello che si è scelto per vivere. Per raccontare una storia di famiglia, consiglio di focalizzarsi subito sul tema che, come in questo caso, è domandarsi lungo la narrazione a chi apparteniamo se a chi ci mette al mondo o a chi ci abbandona? Un doppio, anzi un triplo ragionamento sulle radici che mi riporta di nuovo, piacevolmente, nel territorio di Ginzburg. C’è una sua frase che mi smuove ogni volta che la rileggo, ormai recitandola a memoria, fa parte di uno dei suoi libri più riusciti per l’approccio viscerale alla scrittura, Le Piccole Virtù: “Scrivere è anche il piacere di andare a capo e sapere andare a capo significa mettere un punto e accogliere il proprio destino”. Un augurio che faccio volentieri ai lettori e alle lettrici di Divorzio di velluto , in particolare a chi è alle prese con la propria famiglia di carta.

Piccola bibliografia per chi vuole scrivere


Natalia Ginzburg, Lessico famigliare, Einaudi 2014
Cesare Pavese, La bella estate, Einaudi 2021
Natalia Ginzburg, Le piccole virtù, Einaudi 2015
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