Alla base delle residenze letterarie c’è proprio questa idea: fornire un luogo di immersione nella scrittura che sia anche casa, ma non solo. A Kyoto una nuova residenza apre le sue porte, la prima a vocazione internazionale, che affianca scrittori e traduttori.

La scrittura è un muscolo da allenare. Con un programma fitness che alla costanza affianchi sempre una buona dose di ispirazione. Le residenze per scrittori sono palestre perfette: luoghi dove la concentrazione sulla scrittura è massima non solo grazie al fattore buen retiro, ma anche e soprattutto alla magia dell’interazione con altri scrittori, con una dimensione sconosciuta, con fonti di ispirazione inaspettate. Nel mondo ce ne sono diverse, alcune in location suggestive come la casa di Kerouac o l’ex fabbrica di pesce sui fiordi islandesi. Il comune denominatore di tutte è regalare un’esperienza nuova di approfondimento, un terreno vergine su cui far fiorire parole inedite.

Con lo stesso intento apre le sue porte la Kyoto Writers Residency, la prima residenza per scrittori e traduttori a vocazione internazionale. Abbiamo chiesto alla sua direttrice, Kyoko Yoshida, di raccontarci di più. “Il nostro obiettivo è offrire un mese intero di vitto, alloggio e stipendio, più una quota del viaggio andata e ritorno ai partecipanti. Nei primi anni ospiteremo da 4 a 6 fra scrittori e traduttori nel centro di Kyoto. La prima esperienza partirà all’inizio dell’autunno 2022”.

Come è nata l’idea della residenza letteraria? E perché Kyoto?

La mia esperienza personale come membro dell’International Writing Program presso l’Università dell’Iowa mi è rimasta molto impressa. Inoltre, quando sono tornata a Kyoto, dove ho trascorso gli anni del college e della scuola di specializzazione, ho potuto constatare che è il luogo ideale. Prima di tutto, perché è una città culturale, con una storia di 1200 anni: è qui che sono stati scritti The Tale of Genji e altre importanti opere del periodo Heian. Kyoto coniuga tradizione e innovazione, si sviluppa su un’area estesa, ma il centro si percorre facilmente a piedi ed è circondata da fiumi e montagne. È una città universitaria: ospita ben 38 college e università. Ciò significa che abbiamo molti giovani interessati alla letteratura, alle culture e alle lingue contemporanee in tutto il mondo. Speriamo anche di organizzare scambi con altre residenze in tutto il mondo.

È la prima residenza letteraria in Giappone?

Le residenze d’arte sono numerose in Giappone. Alcune ospitano anche poeti e scrittori. Ci sono residenze letterarie per scrittori di paesi specifici (UE, ecc.), ma come residenza letteraria internazionale, sì, la Kyoto Writers Residency sarà la prima in Giappone.

Quali progetti internazionali hanno ispirato questa iniziativa?

Oltre all’International Writing Program che ho citato prima, l’International Writers’ Workshop alla Hong Kong Baptist University è stato un ottimo esempio di residenza letteraria gestita da un’università. Sing Lit Station è stata fonte di ispirazione per i suoi modi creativi e vibranti di mobilitare giovani scrittori e lettori. Infine, partecipare a conferenze APWT (Asia Pacific Writers and Translators) negli ultimi 15 anni mi ha aperto gli occhi sull’energia creativa del sud-est asiatico.

Chi sono i destinatari?

Vorremmo coinvolgere poeti e scrittori emergenti o mediamente noti di diverse lingue, offrire loro un luogo tranquillo in cui concentrarsi sulla loro scrittura per dare impulso alla loro carriera.

Gli scrittori giapponesi non hanno familiarità con la residenza letteraria, ma ho la sensazione che alcuni di loro siano curiosi e persino desiderosi di scrivere fuori dal Giappone. Ci auguriamo che la loro esperienza alla Kyoto Writers Residency li incoraggi a cercare altre opportunità all’estero e che col passaparola altri scrittori giapponesi vengano a conoscenza di tali opportunità.

Siete aperti anche ai traduttori…

Nel campo delle arti visive e dello spettacolo, gli scambi e le collaborazioni internazionali sono diventati all’ordine del giorno in questo secolo. Nel campo della letteratura, a causa della sua natura solitaria e delle barriere linguistiche, lo scambio e la condivisione delle nostre opere non è facile come in altri campi dell’arte. È particolarmente vero per l’Asia orientale, dove gli scrittori non usano l’inglese tanto quanto altre parti del mondo. Il Paese ha anche tradizioni letterarie molto forti, che rendono difficile interagire con altre culture letterarie. Portare uno o due traduttori nella nostra residenza ogni anno potrebbe favorire la condivisione e gli scambi. Il Giappone è un grande paese traduttore, proprio come l’Italia, eppure i traduttori non sono pagati abbastanza e non ricevono abbastanza credito per il loro lavoro. Noi siamo convinti che la traduzione sia un’arte, un mestiere letterario, pertanto i traduttori meritano di far parte di una comunità di scrittori.

Qual è la mission di questa iniziativa?

La letteratura crea valore. Vogliamo che Kyoto diventi un luogo in cui le persone fanno tesoro di tale processo. Vorremmo istituire un’eterotopia letteraria in cui scrittori e lettori si riuniscano per ampliare le possibilità: possibilità di nuove opere, traduzioni da/in nuove lingue, itinerari verso altre residenze, ascolto di suoni di poesia in altre lingue… Sia la scrittura sia la lettura sono attività solitarie, ma in una residenza letteraria le persone impiegano il loro tempo a stare di più da sole e di più insieme.

Cosa ne pensi dell’attuale stato dell’arte della letteratura giapponese?

È vivace come sempre, ma sento che il suo ecosistema si è spostato nell’era di Internet. Tradizionalmente, è stato molto istituzionale, gestito da alcuni grandi editori, e il fatto che così tanti scrittori possano guadagnarsi da vivere con la sola scrittura dimostra che il sistema ha funzionato bene, ma sempre più autori stanno pubblicando fuori da questo sistema. Temiamo che la diminuzione dei lettori e del prestigio letterario possa costringere molti a ripiegare sull’insegnamento o su altri lavori per sostenere la loro vocazione.

Nell’era attuale della letteratura post-nazionale, gli scrittori di letteratura giapponese non sono necessariamente nativi giapponesi. La lingua non appartiene più solo a loro. Ad esempio, di recente, l’autore e traduttore taiwanese Li Kotomi ha vinto l’Akutagawa Prize, il premio letterario più noto in Giappone. Questa tendenza alla scrittura di una seconda lingua e al superamento dei confini è uno sviluppo molto interessante.

Descrivi la letteratura giapponese contemporanea con tre aggettivi…

Ibrida, post-giapponese, audace.

Cosa pensano i giapponesi della letteratura italiana?

È una grande fonte di luce! Innanzitutto, la sua discendenza diretta dall’eredità antica e rinascimentale è molto ben riconosciuta e rispettata. I romanzieri italiani moderni sono ampiamente tradotti: Natalia Ginzburg, Primo Levi, Dino Buzzati, Antonio Tabucchi… E, naturalmente, anche qui in Giappone Italo Calvino e Umberto Eco sono grandi star. I romanzi seriali di Elena Ferrante hanno avuto successo. E la nuova carriera di Jhumpa Lahiri in italiano ha attirato l’attenzione. La scrittura d’avanguardia in lingua italiana è stata considerata importante. C’è un’incredibile traduzione di Amelia Rosselli in giapponese, per esempio. Atsuko Suga (1929-1998) è stata studiosa e traduttrice di letteratura italiana. Ha lavorato per molti anni alla Libreria Corcia dei Servi di Milano e ha introdotto poeti e scrittori italiani legati alla resistenza. I suoi saggi sulla sua vita in Italia sono molto popolari. Oggi abbiamo il Premio Suga Atsuko per le eccezionali traduzioni giapponesi della letteratura italiana.

Pochi scrittori giapponesi sono molto diffusi in Italia, potresti citare alcuni autori interessanti?

Dal momento che non so dire quali autori giapponesi siano stati tradotti in italiano, questa lista potrebbe non essere attuale, ma Kanako Nishi, Hiroko Oyamada, Kaori Fujino, Aoko Matsuda rappresentano un’ondata di scrittrici potenti.

C’è anche un gruppo di scrittori di fumetti fantasy che sovvertono le convenzioni letterarie e sono molto divertenti da leggere. Tomihiko Morimi e Manabu Makime sono i migliori esempi che mi vengono in mente. Entrambi hanno ambientato le loro storie a Kyoto.

Sono sicura che Yoko Tawada sia molto conosciuta. Ho già menzionato Li Kotomi. Miri Yu, una scrittrice di origini coreane, ha una carriera lunga e notevole. Wen Yourou esplora la sua identità ibrida, di taiwanese cresciuta in Giappone, in lingua giapponese. Akira Higashiyama ha scritto un romanzo d’avventura ambientato nello storico tumulto di Taiwan, ispirato alla vita di suo nonno.

Si possono fare parallelismi con il cinema, che forse riceve più attenzione in Italia?

Nella rappresentazione della cultura giapponese, il cinema e la letteratura si completano a vicenda. Il cinema tende ancora a essere dominato da registi uomini, mentre sono emerse molte scrittrici potenti; il nuovo cinema giapponese si sviluppa nella produzione e ambientazione internazionale, mentre la letteratura richiede la traduzione per varcare i confini. Tuttavia, entrambi affrontano il cambiamento nella società giapponese: l’ampliamento del divario economico, le questioni di genere, l’invecchiamento della popolazione, i problemi degli immigrati e dei rifugiati, le giovani generazioni che affrontano i tempi incerti.

Intervista a cura di Daniela Giambrone

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